Il dibattito relativo alla possibilità che la “malattia mentale” possa essere definita a tutti gli effetti una patologia riconducibile a disfunzioni biologiche e curabile con un trattamento farmacologico aveva assunto connotati accademici e pubblici e raggiunto il proprio apice proprio negli anni Sessanta e Settanta (Saraceno, 2017). Attualmente, entro il contesto socio-culturale occidentale, tale dibattito appare assopito e la comprensione del fenomeno della sofferenza psichica si presenta filtrata dal modello biomedico (Engel, 1977), sempre maggiormente affermato e diffuso. I discorsi che vertono attorno alla “malattia mentale” implicano di rado un modo alternativo di definire ed intendere questo fenomeno, a cui viene ascritta un’eziologia biochimica e per cui viene suggerito un trattamento psicofarmacologico. Il trattamento e la presa a carico di persone a cui viene diagnosticato un disturbo mentale non appaiono più inscritti in un panorama costellato dagli istituti manicomiali, ormai scomparsi, bensì da servizi per la salute mentale territoriali, tra questi i servizi residenziali possono richiamare nell’immaginario collettivo i vecchi ospedali psichiatrici. Il mandato ed il modus operandi di queste due organizzazioni sono innegabilmente diversi, ma entrambe possono esercitare un impatto sulle identità delle persone che vi risiedono. Sorgono quindi alcuni interrogativi, quali identità vengono costruite all’interno di questi servizi? Come si costruiscono queste identità? E quali sono le ricadute pragmatiche di queste costruzioni? Gli ospiti di servizi residenziali per la salute mentale con intenti non assistenziali, ma riabilitativi, intraprendono percorsi finalizzati all’acquisizione di un grado maggiore di autonomia ed al reinserimento nel tessuto sociale e lavorativo, tali percorsi non appaiono tuttavia uniformi, ma idiosincratici e diversificati. Nel tentativo di prendere in considerazione sia l’influenza esercitata sull’identità degli utenti entro il contesto specifico dei servizi residenziali per la salute mentale, sia l’ascendente di discorsi, culturalmente e storicamente determinati, che attraversano e permeano i servizi per la salute mentale, si è scelto di focalizzare lo studio sulle modalità specifiche ed individuali degli utenti di appropriarsi di tali discorsi o contestarli, trovando così la propria collocazione identitaria rispetto a questi.

identità in pillole: consumo di psicofarmaci e implicazioni identitarie tra ospiti di servizi residenziali per la salute mentale

SCALINI, CÉCILE
2021/2022

Abstract

Il dibattito relativo alla possibilità che la “malattia mentale” possa essere definita a tutti gli effetti una patologia riconducibile a disfunzioni biologiche e curabile con un trattamento farmacologico aveva assunto connotati accademici e pubblici e raggiunto il proprio apice proprio negli anni Sessanta e Settanta (Saraceno, 2017). Attualmente, entro il contesto socio-culturale occidentale, tale dibattito appare assopito e la comprensione del fenomeno della sofferenza psichica si presenta filtrata dal modello biomedico (Engel, 1977), sempre maggiormente affermato e diffuso. I discorsi che vertono attorno alla “malattia mentale” implicano di rado un modo alternativo di definire ed intendere questo fenomeno, a cui viene ascritta un’eziologia biochimica e per cui viene suggerito un trattamento psicofarmacologico. Il trattamento e la presa a carico di persone a cui viene diagnosticato un disturbo mentale non appaiono più inscritti in un panorama costellato dagli istituti manicomiali, ormai scomparsi, bensì da servizi per la salute mentale territoriali, tra questi i servizi residenziali possono richiamare nell’immaginario collettivo i vecchi ospedali psichiatrici. Il mandato ed il modus operandi di queste due organizzazioni sono innegabilmente diversi, ma entrambe possono esercitare un impatto sulle identità delle persone che vi risiedono. Sorgono quindi alcuni interrogativi, quali identità vengono costruite all’interno di questi servizi? Come si costruiscono queste identità? E quali sono le ricadute pragmatiche di queste costruzioni? Gli ospiti di servizi residenziali per la salute mentale con intenti non assistenziali, ma riabilitativi, intraprendono percorsi finalizzati all’acquisizione di un grado maggiore di autonomia ed al reinserimento nel tessuto sociale e lavorativo, tali percorsi non appaiono tuttavia uniformi, ma idiosincratici e diversificati. Nel tentativo di prendere in considerazione sia l’influenza esercitata sull’identità degli utenti entro il contesto specifico dei servizi residenziali per la salute mentale, sia l’ascendente di discorsi, culturalmente e storicamente determinati, che attraversano e permeano i servizi per la salute mentale, si è scelto di focalizzare lo studio sulle modalità specifiche ed individuali degli utenti di appropriarsi di tali discorsi o contestarli, trovando così la propria collocazione identitaria rispetto a questi.
2021
identity in pills: consumption of psychotropic drugs and identity implications among guests of residential mental health services
identity
psychiatric drugs
mental health
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.12608/29026