Agosto 1961, un gruppo di speleologi torinesi si avventura nelle profondità dell’abisso del Bifurto, sul Pollino calabrese, per esplorare una delle grotte più profonde del mondo. Contemporaneamente un pastore del luogo trascorre i suoi ultimi giorni di vita. Dicembre 1999, un’epidemia affligge Taipei e in un fatiscente palazzo flagellato dalla pioggia torrenziale un uomo e una donna, infettati dal virus, vivono isolati nei rispettivi appartamenti. Un foro nel pavimento li mette in contatto salvandoli forse da una desolante solitudine. Cosa accomuna queste due storie apparentemente inconciliabili? In primis un titolo, Il buco. Nel primo caso si tratta del terzo lungometraggio di Michelangelo Frammartino uscito nel 2021. Nel secondo invece di uno dei film più atipici del cineasta taiwanese Tsai Ming-liang, rilasciato nel 1998. La prima è un’opera del presente che racconta un passato realmente accaduto, la seconda è un’opera del passato che racconta un futuro immaginario. Un’apertura, una voragine, una cavità è il fulcro di entrambe. Un passaggio che sfonda il suolo fino ad un’inconcepibile profondità, un foro circolare che buca un pavimento collegando due esistenze umane alla deriva. Un movimento propulsore verso il basso, come se i protagonisti fossero mossi dall’irrefrenabile forza di gravità che li spinge inesorabilmente verso un fondo. Frammartino dichiara le sue intenzioni sin dall’incipit del film. Opporre alla slancio dei grattacieli in costruzione nella Milano del boom economico, l’avventura di quel gruppo di speleologi che, in totale controtendenza all’avanzamento del mondo industrializzato, decide di mappare il suolo primordiale di una profonda caverna in Calabria. La spinta a scoprire le radici ancestrali della terra contro la costruzione di impalcature artificiali per conquistare il cielo. Frammartino racconta come la tracotanza dell’uomo capitalista, costruttore di torri tecnologiche, massimo esempio del trionfo del miracolo consumista, abbia obnubilato la coraggiosa missione della spedizione del Bifurto. Con Il buco, quindi, sceglie di ridare lustro a questi eroi, simbolo dell’uomo che scende e analizza le profondità della terra che abita ma che diventa presto anche metafora della scoperta delle proprie profondità, degli abissi dell’uomo stesso. Un viaggio sicuramente fisico, ricco anche di impervi impedimenti e sfide da superare, ma evidentemente anche psichico e allegorico, forse ancora più ricco di pericoli e ostacoli. Nel film di Tsai invece il buco che viene a crearsi non è una depressione naturale ma una creazione tutta artificiale su un terreno artificiale. Nel futuro distopico dell’opera, il governo ha deciso di cessare i rifornimenti di acqua corrente ai quartieri abitati dagli infetti del virus allo scoccare della mezzanotte dell’anno 2000. Questi ultimi quindi sono invitati ad abbandonare le proprie abitazioni. Il protagonista si rifiuta di lasciare il suo fatiscente appartamento. Così, un giorno, riceve la visita inaspettata di un idraulico che, in seguito ad un’ispezione delle tubature, lascia sul pavimento una frattura circolare. Mano a mano che il foro viene ossessivamente allargato dal protagonista maschio, la narrazione si addentra gradualmente e misteriosamente nel dramma della solitudine di quest’ultimo e della protagonista femminile, l’inquilina del piano sottostante. In particolare è in lei che il morbo del virus e della conseguente depressione attecchisce, facendola sprofondare in oscure regioni psicologiche. A fare da contraltare alla deprimente situazione, i desideri e le speranze idealizzate dei due personaggi vengono mostrati in digressioni narrative estemporanee composte come vitali scene di un musical. All’apice della disperazione della protagonista donna però ecco che il buco, fino ad ora compagno di una progressiva catabasi interiore, si trasforma invece in fonte di speranza.

De profundis: un'analisi stilistica e tematica di The Hole di Tsai Ming-liang e Il buco di Michelangelo Frammartino

BISANTIS, CESARE
2021/2022

Abstract

Agosto 1961, un gruppo di speleologi torinesi si avventura nelle profondità dell’abisso del Bifurto, sul Pollino calabrese, per esplorare una delle grotte più profonde del mondo. Contemporaneamente un pastore del luogo trascorre i suoi ultimi giorni di vita. Dicembre 1999, un’epidemia affligge Taipei e in un fatiscente palazzo flagellato dalla pioggia torrenziale un uomo e una donna, infettati dal virus, vivono isolati nei rispettivi appartamenti. Un foro nel pavimento li mette in contatto salvandoli forse da una desolante solitudine. Cosa accomuna queste due storie apparentemente inconciliabili? In primis un titolo, Il buco. Nel primo caso si tratta del terzo lungometraggio di Michelangelo Frammartino uscito nel 2021. Nel secondo invece di uno dei film più atipici del cineasta taiwanese Tsai Ming-liang, rilasciato nel 1998. La prima è un’opera del presente che racconta un passato realmente accaduto, la seconda è un’opera del passato che racconta un futuro immaginario. Un’apertura, una voragine, una cavità è il fulcro di entrambe. Un passaggio che sfonda il suolo fino ad un’inconcepibile profondità, un foro circolare che buca un pavimento collegando due esistenze umane alla deriva. Un movimento propulsore verso il basso, come se i protagonisti fossero mossi dall’irrefrenabile forza di gravità che li spinge inesorabilmente verso un fondo. Frammartino dichiara le sue intenzioni sin dall’incipit del film. Opporre alla slancio dei grattacieli in costruzione nella Milano del boom economico, l’avventura di quel gruppo di speleologi che, in totale controtendenza all’avanzamento del mondo industrializzato, decide di mappare il suolo primordiale di una profonda caverna in Calabria. La spinta a scoprire le radici ancestrali della terra contro la costruzione di impalcature artificiali per conquistare il cielo. Frammartino racconta come la tracotanza dell’uomo capitalista, costruttore di torri tecnologiche, massimo esempio del trionfo del miracolo consumista, abbia obnubilato la coraggiosa missione della spedizione del Bifurto. Con Il buco, quindi, sceglie di ridare lustro a questi eroi, simbolo dell’uomo che scende e analizza le profondità della terra che abita ma che diventa presto anche metafora della scoperta delle proprie profondità, degli abissi dell’uomo stesso. Un viaggio sicuramente fisico, ricco anche di impervi impedimenti e sfide da superare, ma evidentemente anche psichico e allegorico, forse ancora più ricco di pericoli e ostacoli. Nel film di Tsai invece il buco che viene a crearsi non è una depressione naturale ma una creazione tutta artificiale su un terreno artificiale. Nel futuro distopico dell’opera, il governo ha deciso di cessare i rifornimenti di acqua corrente ai quartieri abitati dagli infetti del virus allo scoccare della mezzanotte dell’anno 2000. Questi ultimi quindi sono invitati ad abbandonare le proprie abitazioni. Il protagonista si rifiuta di lasciare il suo fatiscente appartamento. Così, un giorno, riceve la visita inaspettata di un idraulico che, in seguito ad un’ispezione delle tubature, lascia sul pavimento una frattura circolare. Mano a mano che il foro viene ossessivamente allargato dal protagonista maschio, la narrazione si addentra gradualmente e misteriosamente nel dramma della solitudine di quest’ultimo e della protagonista femminile, l’inquilina del piano sottostante. In particolare è in lei che il morbo del virus e della conseguente depressione attecchisce, facendola sprofondare in oscure regioni psicologiche. A fare da contraltare alla deprimente situazione, i desideri e le speranze idealizzate dei due personaggi vengono mostrati in digressioni narrative estemporanee composte come vitali scene di un musical. All’apice della disperazione della protagonista donna però ecco che il buco, fino ad ora compagno di una progressiva catabasi interiore, si trasforma invece in fonte di speranza.
2021
De profundis: a stylistic and thematic analysis of The Hole by Tsai Ming-liang and Il buco by Michelangelo Frammartino
De Profundis
The hole
Il buco
Tsai Ming-liang
Frammartino
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.12608/42029