Nel Codice di Procedure Penale Italiano (Codice Rocco del 1930 ed attualmente in vigore), l’Articolo 85 definisce chi, alla conclusione del processo, può essere ritenuto imputabile del reato ascritto qualora al momento del fatto fosse ritenuto capace di intendere e di volere; l’Articolo in questione recita: “Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se, al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile. È imputabile chi ha la capacità di intendere e volere” (art. 85 c.p.p.). Questa definizione lascia intendere pertanto che non è sufficiente accertarsi che l’imputato abbia materialmente messo in atto il comportamento criminoso perché lo si possa ritenere responsabile di quanto commesso, ma serve capire se nel metterlo in opera abbia compreso gli elementi salienti della situazione, il significato del proprio agito e le conseguenze alla quali tale agito porta - definendo quindi la capacità di intendere - e che quanto fatto sia frutto di una pianificazione intenzionale, considerando la situazione, l’adeguamento delle proprie azioni alle intenzioni e che tali azioni siano cognitivamente controllate nel mentre si svolgono – riferendosi quindi alla capacità di volere (Gulotta, 2020). Sebbene il concetto di imputabilità sia a tutti gli effetti appartenete al mondo giuridico, esso trova comunque ampio spazio nella ricerca scientifica in ambito psicologico e psichiatrico, nello studio di quelle funzioni cognitive che sottostanno e determinano il funzionamento psicologico atipico dovuto, ad esempio alla presenza di una psicopatologia o patologia organica che, previo accertamento di una relazione sussistente tra questi due fenomeni, definito “nesso causale”, che collega appunto il comportamento oggetto di valutazione e la patologia stessa, può fornire un’indicazione circa l’imputabilità del soggetto. Essenzialmente ciò significa che non basta accertarsi della presenza di deficit mentale od organico affinché si possa ravvisare un difetto della capacità di intendere e di volere, ma tale mancanza deve incidere sulle funzioni cognitive relative alla capacità d’intendere e di volere, che sono alla base del concetto di imputabilità. Con questo elaborato s’intende porre l’attenzione sulle modalità di accertamento di tale capacità, ad oggi ravvisabile sostanzialmente tramite la metodologia d’indagine del colloquio clinico psichiatrico, con una scarsa considerazione di strumenti valutativi che adeguatamente svolgono un ruolo di supporto al professionista nell’aiutarlo a prendere una decisione circa i vari casi seguiti. Nel determinare quali sono le specifiche funzioni d’indagine, si andranno ad individuare le principali funzioni cognitive sottostanti i comportamenti e le manifestazioni che giustificano un determinato stato mentale, di specifico interesse forense, secondo dunque un approccio di tipo cognitivo. Come verrà approfondito più avanti, uno dei maggiori difetti del colloquio clinico come metodo d’indagine della psicopatologia in ambito forense consiste in una bassa concordanza tra diversi valutatori circa lo stesso oggetto d’indagine (Conti, 2008), ossia una bassa inter-rater reliability. Il punto della questione, dunque, consiste nel fornire uno strumento affidabile che permetta una maggiore concordanza nei giudizi tra gli psicologi, i quali andranno ad esprimere la loro valutazione dovendo considerare lo strumento utilizzato. Lo strumento in questione consiste in una batteria di test (o reattivi) di tipo neuropsicologico che valuta le funzioni cognitive sottostanti la capacità di intendere e volere, fornendone una valutazione oggettiva utilizzabile nel contesto forense; vedremo nei capitoli successivi i costrutti (funzioni cognitive) indagati, i motivi per cui si sono scelte, la metodologia utilizzata ed i risultati ottenuti.

Studio e sviluppo di una batteria di test per la valutazione neuropsicologica dell'imputabilità secondo l'approccio cognitivo

NORDIO, ANDREA
2022/2023

Abstract

Nel Codice di Procedure Penale Italiano (Codice Rocco del 1930 ed attualmente in vigore), l’Articolo 85 definisce chi, alla conclusione del processo, può essere ritenuto imputabile del reato ascritto qualora al momento del fatto fosse ritenuto capace di intendere e di volere; l’Articolo in questione recita: “Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se, al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile. È imputabile chi ha la capacità di intendere e volere” (art. 85 c.p.p.). Questa definizione lascia intendere pertanto che non è sufficiente accertarsi che l’imputato abbia materialmente messo in atto il comportamento criminoso perché lo si possa ritenere responsabile di quanto commesso, ma serve capire se nel metterlo in opera abbia compreso gli elementi salienti della situazione, il significato del proprio agito e le conseguenze alla quali tale agito porta - definendo quindi la capacità di intendere - e che quanto fatto sia frutto di una pianificazione intenzionale, considerando la situazione, l’adeguamento delle proprie azioni alle intenzioni e che tali azioni siano cognitivamente controllate nel mentre si svolgono – riferendosi quindi alla capacità di volere (Gulotta, 2020). Sebbene il concetto di imputabilità sia a tutti gli effetti appartenete al mondo giuridico, esso trova comunque ampio spazio nella ricerca scientifica in ambito psicologico e psichiatrico, nello studio di quelle funzioni cognitive che sottostanno e determinano il funzionamento psicologico atipico dovuto, ad esempio alla presenza di una psicopatologia o patologia organica che, previo accertamento di una relazione sussistente tra questi due fenomeni, definito “nesso causale”, che collega appunto il comportamento oggetto di valutazione e la patologia stessa, può fornire un’indicazione circa l’imputabilità del soggetto. Essenzialmente ciò significa che non basta accertarsi della presenza di deficit mentale od organico affinché si possa ravvisare un difetto della capacità di intendere e di volere, ma tale mancanza deve incidere sulle funzioni cognitive relative alla capacità d’intendere e di volere, che sono alla base del concetto di imputabilità. Con questo elaborato s’intende porre l’attenzione sulle modalità di accertamento di tale capacità, ad oggi ravvisabile sostanzialmente tramite la metodologia d’indagine del colloquio clinico psichiatrico, con una scarsa considerazione di strumenti valutativi che adeguatamente svolgono un ruolo di supporto al professionista nell’aiutarlo a prendere una decisione circa i vari casi seguiti. Nel determinare quali sono le specifiche funzioni d’indagine, si andranno ad individuare le principali funzioni cognitive sottostanti i comportamenti e le manifestazioni che giustificano un determinato stato mentale, di specifico interesse forense, secondo dunque un approccio di tipo cognitivo. Come verrà approfondito più avanti, uno dei maggiori difetti del colloquio clinico come metodo d’indagine della psicopatologia in ambito forense consiste in una bassa concordanza tra diversi valutatori circa lo stesso oggetto d’indagine (Conti, 2008), ossia una bassa inter-rater reliability. Il punto della questione, dunque, consiste nel fornire uno strumento affidabile che permetta una maggiore concordanza nei giudizi tra gli psicologi, i quali andranno ad esprimere la loro valutazione dovendo considerare lo strumento utilizzato. Lo strumento in questione consiste in una batteria di test (o reattivi) di tipo neuropsicologico che valuta le funzioni cognitive sottostanti la capacità di intendere e volere, fornendone una valutazione oggettiva utilizzabile nel contesto forense; vedremo nei capitoli successivi i costrutti (funzioni cognitive) indagati, i motivi per cui si sono scelte, la metodologia utilizzata ed i risultati ottenuti.
2022
Study and development of a battery of tests for the neuropsychological evaluation of imputability according to the cognitive approach
imputabilità
batteria
approccio
cognitivo
test
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.12608/57703