Tra i meccanismi di matrice meta-cinematografica che disvelano la natura artificiale del cinema stesso, l’azione volontaria di un personaggio che rivolge lo sguardo verso l’obiettivo della macchina da presa genera una connessione diretta con lo spettatore che lo osserva. Ma in che modo avviene questo coinvolgimento immediato? Cosa vuole comunicare quello sguardo? E in che misura è possibile riscontrare un legame tra realtà e finzione nel cinema? Attraverso la stesura del mio elaborato di tesi ho cercato di formulare delle risposte a tali interrogativi, spinta da una curiosità preliminare di scoprire le dinamiche tramite cui si instaura una delle più potenti forme del linguaggio cinematografico, ovvero l’interpellazione. Tale figura è in grado di smascherare la natura artificiale filmica e distruggere quel confine immaginario tra personaggio e spettatore, consentendo a quest’ultimo di prendere parte dell’intimità diegetica. Lo sguardo in macchina può avere varie declinazioni all’interno del discorso filmico; quindi, sono state esplorate sue differenti modulazioni. Nel primo capitolo, ho esaminato il concetto di enunciazione cinematografica che, sebbene abbia acceso un focoso dibattito tra gli anni Ottanta e Novanta del Novecento in merito all’attribuzione di una chiara definizione in ambito audiovisivo, è fondamentale per comprendere il processo attraverso il quale un film racconta una storia verso un universo extradiegetico, tramite delle voci di appello che riconoscono la presenza dello spettatore quale parte attiva della rappresentazione filmica. Ho approfondito poi il meccanismo dello sguardo in macchina come forma di interpellazione riflessiva con lo scopo di chiamare in causa lo spettatore e le modalità idonee alla sua acquisizione, e ciò mi ha permesso di comprendere la natura introspettiva di alcuni sguardi che evocano gli stati d’animo del personaggio stesso, sguardi silenziosi, non accompagnati dalla parola e che evocano una riflessione interiore. Ho scelto di prendere in analisi À bout de souffle (Fino all’ultimo respiro), lungometraggio di esordio del regista francese Jean-Luc Godard, non solo perché contiene all’interno della narrazione due degli sguardi in macchina più affascinanti della storia del cinema, ma perché essi sono un chiaro esempio della rivoluzione metalinguistica di quel cinema moderno che al suo interno accoglie un’importante componente autoriflessiva. Così nel secondo capitolo mi sono soffermata sul rapporto tra realtà e finzione nel cinema della Nouvelle Vague, di cui lo stesso Godard si fa portavoce - insieme agli altri giovani critici dei Cahiers - del rinnovamento tecnico-stilistico del cinema francese, alle porte di un nuovo cinema d’autore. Nel terzo ed ultimo capitolo, ho approfondito l’analisi del film soffermandomi particolarmente sulla costruzione degli sguardi in macchina nelle loro distinte funzioni: l’uno di matrice brechtiana che svela la dimensione artificiale del personaggio stesso e tenta una connessione diretta con lo spettatore, l’altro più implicito, autoriflessivo, sorta di specchio con una duplice valenza. Nel concludere l’ultima parte dell’elaborato, ho scelto di porre attenzione ad un ulteriore esempio di sguardo in macchina, uno sguardo intimo e magnetico che il regista svedese Ingmar Bergman ha introdotto nel suo film Summaren med Monika (Monica e il desiderio), che ha influenzato in modo significativo i registi della Nouvelle Vague, in particolare Godard, che ha tratto grande insegnamento e ispirazione al punto da dedicargli due articoli celebrativi. Questi sguardi in macchina, nelle loro personali esplicitazioni, mi hanno aiutata a comprendere in che forma può instaurarsi il rapporto tra realtà e finzione all’interno di un universo artificiale, specchio del reale, chiamato cinema.

Fino all’ultimo respiro, lo sguardo in macchina

TERSIGNI, ALESSIA
2023/2024

Abstract

Tra i meccanismi di matrice meta-cinematografica che disvelano la natura artificiale del cinema stesso, l’azione volontaria di un personaggio che rivolge lo sguardo verso l’obiettivo della macchina da presa genera una connessione diretta con lo spettatore che lo osserva. Ma in che modo avviene questo coinvolgimento immediato? Cosa vuole comunicare quello sguardo? E in che misura è possibile riscontrare un legame tra realtà e finzione nel cinema? Attraverso la stesura del mio elaborato di tesi ho cercato di formulare delle risposte a tali interrogativi, spinta da una curiosità preliminare di scoprire le dinamiche tramite cui si instaura una delle più potenti forme del linguaggio cinematografico, ovvero l’interpellazione. Tale figura è in grado di smascherare la natura artificiale filmica e distruggere quel confine immaginario tra personaggio e spettatore, consentendo a quest’ultimo di prendere parte dell’intimità diegetica. Lo sguardo in macchina può avere varie declinazioni all’interno del discorso filmico; quindi, sono state esplorate sue differenti modulazioni. Nel primo capitolo, ho esaminato il concetto di enunciazione cinematografica che, sebbene abbia acceso un focoso dibattito tra gli anni Ottanta e Novanta del Novecento in merito all’attribuzione di una chiara definizione in ambito audiovisivo, è fondamentale per comprendere il processo attraverso il quale un film racconta una storia verso un universo extradiegetico, tramite delle voci di appello che riconoscono la presenza dello spettatore quale parte attiva della rappresentazione filmica. Ho approfondito poi il meccanismo dello sguardo in macchina come forma di interpellazione riflessiva con lo scopo di chiamare in causa lo spettatore e le modalità idonee alla sua acquisizione, e ciò mi ha permesso di comprendere la natura introspettiva di alcuni sguardi che evocano gli stati d’animo del personaggio stesso, sguardi silenziosi, non accompagnati dalla parola e che evocano una riflessione interiore. Ho scelto di prendere in analisi À bout de souffle (Fino all’ultimo respiro), lungometraggio di esordio del regista francese Jean-Luc Godard, non solo perché contiene all’interno della narrazione due degli sguardi in macchina più affascinanti della storia del cinema, ma perché essi sono un chiaro esempio della rivoluzione metalinguistica di quel cinema moderno che al suo interno accoglie un’importante componente autoriflessiva. Così nel secondo capitolo mi sono soffermata sul rapporto tra realtà e finzione nel cinema della Nouvelle Vague, di cui lo stesso Godard si fa portavoce - insieme agli altri giovani critici dei Cahiers - del rinnovamento tecnico-stilistico del cinema francese, alle porte di un nuovo cinema d’autore. Nel terzo ed ultimo capitolo, ho approfondito l’analisi del film soffermandomi particolarmente sulla costruzione degli sguardi in macchina nelle loro distinte funzioni: l’uno di matrice brechtiana che svela la dimensione artificiale del personaggio stesso e tenta una connessione diretta con lo spettatore, l’altro più implicito, autoriflessivo, sorta di specchio con una duplice valenza. Nel concludere l’ultima parte dell’elaborato, ho scelto di porre attenzione ad un ulteriore esempio di sguardo in macchina, uno sguardo intimo e magnetico che il regista svedese Ingmar Bergman ha introdotto nel suo film Summaren med Monika (Monica e il desiderio), che ha influenzato in modo significativo i registi della Nouvelle Vague, in particolare Godard, che ha tratto grande insegnamento e ispirazione al punto da dedicargli due articoli celebrativi. Questi sguardi in macchina, nelle loro personali esplicitazioni, mi hanno aiutata a comprendere in che forma può instaurarsi il rapporto tra realtà e finzione all’interno di un universo artificiale, specchio del reale, chiamato cinema.
2023
Finished to the last breath: the look into the camera
quarta parete
finzione
nouvelle vague
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.12608/63917