Il presente elaborato affronta la tematica dell’esilio e alcuni aspetti del movimento migratorio muovendo dall’antichità greco-latina fino alla storia contemporanea, soffermandosi su alcuni intellettuali che hanno contribuito a formare una serie di riflessioni sulla condizione esilica che permettono di collocare in prospettica i diversi significati del concetto di esilio. Nel mondo contemporaneo il fenomeno dei movimenti migratori di massa ha conosciuto una continua espansione. Gli emigranti fanno esperienza di una temporalità evanescente, fatta di attese e incertezze e di una effettiva perdita d’identità. Il loro io appare diviso e lo stesso orientamento spazio-temporale appare segnato da una condizione di incertezza e di costante attesa, dalla percezione di un’assenza di controllo sulla propria esistenza. L’esilio e l’erranza diventano spazio paradigmatico di impoverimento, della destituzione dell’uomo dal mondo e della formazione di un’identità frantumata. Di nostalgia, che è il dolore che consegue dalla perdita della patria e delle proprie radici, ci si può ammalare: da stato d’animo può, infatti, radicalizzarsi e trasformarsi in condizione clinica. Il fenomeno migratorio contemporaneo mostra una crescita rapida ed esponenziale del fenomeno, rilevando come i migranti presentino ingenti problematiche di salute fisica e mentale. La condizione psichica in cui il migrante resta costantemente “sospeso” ne logora giorno dopo giorno la struttura psichica e ne fragilizza la tenuta identitaria. Nella prospettiva storica che interessa mettere a fuoco qui l’esilio si presenta come un’esperienza di distacco, di spaesamento, di perdita delle proprie radici. Nella condizione scomoda dell’esule e dello straniero è presente però, talvolta, anche un atteggiamento di apertura che rende l’esilio un’esperienza di rinascita ontologica, che permette il raggiungimento di una condizione umana privilegiata. Due figure che si sono interrogate sull’assenza di patria sono Günther Anders e Hannah Arendt, ebrei esuli dalla Germania durante il dramma della Shoah. Di particolare interesse risultano le riflessioni di Anders, il quale trasforma il cartesiano cogito ergo sum (“penso, dunque sono”) in cogitor ergo sum (“mi si pensa dunque sono”) a sottolineare la composizione relazionale e intersoggettiva della soggettività. Quando questi rapporti che rendono possibile l’identità, la confermano e la stabilizzano durevolmente, vengono meno, oppure sono troncati con la forza, come accade nel caso degli esuli e dei profughi, la concordanza con sé stessi diventa inevitabilmente problematica. Diversamente dal cartesiano cogito ergo sum, la prova dell’esistenza valida nella vita dovrebbe essere cogitor ergo sum, “mi si pensa, dunque sono”. Nella vasta letteratura dell’esilio esistono autori che sono accomunati dalla rappresentazione dell’esilio come condizione di estraneità e di non-appartenenza assolute. In questo elaborato si percorreranno tali tematiche presenti fin nell’Antico Testamento e presso gli antichi greci e latini, passando per Virgilio, Ovidio, Seneca. Vengono trattate, infine, alcune figure di esuli presenti nel panorama filosofico contemporaneo quali ad esempio, Said, Adorno, Benjamin, María Zambrano e Schmuel Trigano. Da queste riflessioni emerge come nell’esilio convivano due diverse dimensioni: quella drammatica della fuga e della rottura delle proprie radici e quella della costruzione di una nuova vita, in cui l’esilio passa da circostanza dolorosa e ineluttabile a disvelamento di una condizione umana privilegiata.
Esilio e migrazione dall’antichità a oggi. Tra sradicamento identitario e rinascita ontologica
GASTALDELLO, MARTINA
2023/2024
Abstract
Il presente elaborato affronta la tematica dell’esilio e alcuni aspetti del movimento migratorio muovendo dall’antichità greco-latina fino alla storia contemporanea, soffermandosi su alcuni intellettuali che hanno contribuito a formare una serie di riflessioni sulla condizione esilica che permettono di collocare in prospettica i diversi significati del concetto di esilio. Nel mondo contemporaneo il fenomeno dei movimenti migratori di massa ha conosciuto una continua espansione. Gli emigranti fanno esperienza di una temporalità evanescente, fatta di attese e incertezze e di una effettiva perdita d’identità. Il loro io appare diviso e lo stesso orientamento spazio-temporale appare segnato da una condizione di incertezza e di costante attesa, dalla percezione di un’assenza di controllo sulla propria esistenza. L’esilio e l’erranza diventano spazio paradigmatico di impoverimento, della destituzione dell’uomo dal mondo e della formazione di un’identità frantumata. Di nostalgia, che è il dolore che consegue dalla perdita della patria e delle proprie radici, ci si può ammalare: da stato d’animo può, infatti, radicalizzarsi e trasformarsi in condizione clinica. Il fenomeno migratorio contemporaneo mostra una crescita rapida ed esponenziale del fenomeno, rilevando come i migranti presentino ingenti problematiche di salute fisica e mentale. La condizione psichica in cui il migrante resta costantemente “sospeso” ne logora giorno dopo giorno la struttura psichica e ne fragilizza la tenuta identitaria. Nella prospettiva storica che interessa mettere a fuoco qui l’esilio si presenta come un’esperienza di distacco, di spaesamento, di perdita delle proprie radici. Nella condizione scomoda dell’esule e dello straniero è presente però, talvolta, anche un atteggiamento di apertura che rende l’esilio un’esperienza di rinascita ontologica, che permette il raggiungimento di una condizione umana privilegiata. Due figure che si sono interrogate sull’assenza di patria sono Günther Anders e Hannah Arendt, ebrei esuli dalla Germania durante il dramma della Shoah. Di particolare interesse risultano le riflessioni di Anders, il quale trasforma il cartesiano cogito ergo sum (“penso, dunque sono”) in cogitor ergo sum (“mi si pensa dunque sono”) a sottolineare la composizione relazionale e intersoggettiva della soggettività. Quando questi rapporti che rendono possibile l’identità, la confermano e la stabilizzano durevolmente, vengono meno, oppure sono troncati con la forza, come accade nel caso degli esuli e dei profughi, la concordanza con sé stessi diventa inevitabilmente problematica. Diversamente dal cartesiano cogito ergo sum, la prova dell’esistenza valida nella vita dovrebbe essere cogitor ergo sum, “mi si pensa, dunque sono”. Nella vasta letteratura dell’esilio esistono autori che sono accomunati dalla rappresentazione dell’esilio come condizione di estraneità e di non-appartenenza assolute. In questo elaborato si percorreranno tali tematiche presenti fin nell’Antico Testamento e presso gli antichi greci e latini, passando per Virgilio, Ovidio, Seneca. Vengono trattate, infine, alcune figure di esuli presenti nel panorama filosofico contemporaneo quali ad esempio, Said, Adorno, Benjamin, María Zambrano e Schmuel Trigano. Da queste riflessioni emerge come nell’esilio convivano due diverse dimensioni: quella drammatica della fuga e della rottura delle proprie radici e quella della costruzione di una nuova vita, in cui l’esilio passa da circostanza dolorosa e ineluttabile a disvelamento di una condizione umana privilegiata.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.12608/70464