D'Annunzio letto da Furio Jesi: religio mortis e macchina mitologica ne La città morta

The paper aims to analyze D'Annunzio's first play, La città morta (1898), in the light of the interpretative categories proposed by the mythologist Furio Jesi (1941-1980). In the story represented on the stage, we can find attitudes that reveal a religion of death latent in the characters as well as in the author. Furthermore, from the examination of the mythological materials abundantly scattered throughout the text, the profile of a mythological machine emerges, which operates in the tragedy and through it, generating technicalized versions of the myth. Starting from these assumptions, it is possible to trace in the drama also the elements of a right-wing culture, based on the flattening of contradictions at a historical, ideological and linguistic level and on the concealment of its own uncertain ethical stature through acts of free brutality.

L'elaborato si propone di analizzare la prima opera teatrale dannunziana, La città morta (1898), alla luce delle categorie interpretative proposte dal mitologo Furio Jesi (1941-1980). Nella vicenda rappresentata sulla scena si riscontrano atteggiamenti rivelatori di una religione della morte latente nei personaggi così come nell'autore. Inoltre, dall'esame dei materiali mitologici abbondantemente sparsi nel testo emerge il profilo di una macchina mitologica operante nella tragedia e per mezzo di essa, generatrice di versioni tecnicizzate del mito. A partire da questi assunti, è possibile rintracciare nel dramma anche gli elementi afferenti ad una cultura di destra, basata sull'appiattimento delle contraddizioni a livello storico, ideologico e linguistico e sul camuffamento della propria statura etica incerta attraverso atti di gratuita brutalità.