La lettura dei Manifesti del Surrealismo redatti da André Bréton offre l’occasione per riscattare questo movimento dalle categorie artistiche in cui viene convenzionalmente imbrigliato, per poterlo invece osservare nella sua primaria e potente essenza di filosofia della vita. La crisi generale di inizio secolo imputata alla borghesia e l’esigenza di trovarvi una soluzione favoriscono la formazione di un gruppo di intellettuali che intende mettere la propria arte al servizio di una rivoluzione, a sua volta destinata a rovesciare gli schemi sociali esistenti e ad approdare alla liberazione dell’individuo dalle oppressioni imposte dalle élite. La novità del surrealismo rispetto alle altre avanguardie risiede nella sua determinazione a voler raggiungere l’obiettivo rivoluzionario anche a costo di intraprendere una partecipazione attiva alla lotta politica, talvolta dogmatica. Alla base delle opere, per quanto diverse, risiede quindi un comune desiderio di emancipazione dello spirito dalle convenzioni sociali, nei confronti delle quali si propone di adottare una vera e propria prassi sovversiva. Tale desiderio è ciò che Breton considera il «seme» del surrealismo capace di germogliare all’infinito, anche dopo la necessaria fine del movimento storico. D’altro canto, la critica di Walter Benjamin elogia il movimento surrealista, non senza evidenziarne i limiti, per aver promosso quella che lui stesso definirebbe una “politicizzazione dell’arte”, cercando di renderla uno strumento potenzialmente utile a sconvolgere lo status quo vigente. A partire da queste premesse, si intende proporre una riflessione in merito alla potenziale sopravvivenza del portato rivoluzionario introdotto dal surrealismo, indagando la nuova modernità globalizzata e i fenomeni di attivismo artistico che le sono propri.
«È troppo tardi perché il suo seme non germogli all'infinito». Riflessioni sulla sopravvivenza del portato sovversivo del surrealismo
MATTIUZZO, LETIZIA
2023/2024
Abstract
La lettura dei Manifesti del Surrealismo redatti da André Bréton offre l’occasione per riscattare questo movimento dalle categorie artistiche in cui viene convenzionalmente imbrigliato, per poterlo invece osservare nella sua primaria e potente essenza di filosofia della vita. La crisi generale di inizio secolo imputata alla borghesia e l’esigenza di trovarvi una soluzione favoriscono la formazione di un gruppo di intellettuali che intende mettere la propria arte al servizio di una rivoluzione, a sua volta destinata a rovesciare gli schemi sociali esistenti e ad approdare alla liberazione dell’individuo dalle oppressioni imposte dalle élite. La novità del surrealismo rispetto alle altre avanguardie risiede nella sua determinazione a voler raggiungere l’obiettivo rivoluzionario anche a costo di intraprendere una partecipazione attiva alla lotta politica, talvolta dogmatica. Alla base delle opere, per quanto diverse, risiede quindi un comune desiderio di emancipazione dello spirito dalle convenzioni sociali, nei confronti delle quali si propone di adottare una vera e propria prassi sovversiva. Tale desiderio è ciò che Breton considera il «seme» del surrealismo capace di germogliare all’infinito, anche dopo la necessaria fine del movimento storico. D’altro canto, la critica di Walter Benjamin elogia il movimento surrealista, non senza evidenziarne i limiti, per aver promosso quella che lui stesso definirebbe una “politicizzazione dell’arte”, cercando di renderla uno strumento potenzialmente utile a sconvolgere lo status quo vigente. A partire da queste premesse, si intende proporre una riflessione in merito alla potenziale sopravvivenza del portato rivoluzionario introdotto dal surrealismo, indagando la nuova modernità globalizzata e i fenomeni di attivismo artistico che le sono propri.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.12608/78724