La trattazione si propone di individuare gli snodi critici riguardanti il ruolo svolto dalle pratiche di boicottaggio turistico nel porre risposta alle conclamate violazioni del diritto umano, ponendole in relazione al tema della mobilità. Ne risultano importanti considerazioni riguardanti, da un lato, le problematicità insite in questo rapporto, da leggersi nell’analisi sulla complicità delle imprese dell’e-tourism e, dall’altro, inerenti all’esplorazione di potenzialità alternative di tutela e sviluppo sostenibile delle popolazioni locali facendo leva sui modelli di turismo responsabile e justice tourism. La presente ricerca intende dispiegare l’ampio bacino dei contributi sul boicottaggio e sulla lotta non-violenta contestualizzata rispetto alla concretezza, attualità e violenza della situazione palestinese. L’efficacia dello strumento di rivendicazione è oggetto di osservazione entro l’orizzonte sempre più geograficamente ampio, digitalmente interconnesso e politicizzato del fenomeno turistico. La ricerca si sofferma su alcuni aspetti chiave derivanti da fenomeni di boicottaggio turistico, in luce del loro ruolo di precursori del caso studio centrale, che hanno ottenuto ampio rilevo e consenso a livello internazionale: la pubblica condanna, che ha preso avvio dopo le elezioni del 1990, dell’illegittimo governo militare post-indipendentista del Myanmar, con soppressione, in più battute, delle istanze pro-democratiche di Aung San Suu Kyi; così come la risposta internazionale alla violenza etnica ed estromissione dal Paese della minoranza Rohingya. Si aggiunge anche l’esercizio del boicottaggio turistico della nazione sudafricana, come forma di protesta in solidarietà con il movimento anti-apartheid all'interno del Paese. Si evidenziano gli elementi di differenza che rendono complessa e più difficilmente permeabile la battaglia del boicottaggio israeliano, in luce delle sue peculiari caratteristiche; si offre una contestualizzazione rispetto campagna diffusa del Boycott, Divestment, Sanctions (BDS) Movement contro Israele per promuovere la creazione un fronte coeso in opposizione alle pretese occupazioniste israeliane e alle violazioni del diritto. I processi di negoziazione degli spazi, così come le più violente casistiche di frammentazione - tramite le barriere di separazione -, appropriazione indebita e occupazione - con l’espansione coloniale israeliana -, sono al centro di riflessioni, indagando come la presentazione del patrimonio rientri in un sistema propagandistico di ottenimento del pubblico consenso. Turismo e Sionismo sono indagati nella loro intersezione sulla base delle strategie comunicative, campagne promozionali e selezione dei target di mercato, in funzione del depotenziamento della facoltà della popolazione Araba di proporre una immagine propria dei suoi territori. Nella discussione si è cercato di individuare come le imprese turistiche dell’e-tourism facciano leva su una rappresentazione in divenire dei confini, giovando della mancata chiarezza rispetto alla ripartizione territoriale, bollando arbitrariamente strutture ricettive e siti di interesse come “israeliane”, invitando lo sguardo a sorvolare gli spazi della segregazione e della negazione, con forti implicazioni sull’agency del singolo turista. A fare da contraltare è l’introduzione dei casi di attori che operano sul campo, i tour operator, esercitando un ruolo comunicativo di fondamentale importanza attraverso l’installazione di una contro-narrazione, nel quadro delle prassi del justice tourism.
Quando il turismo è politico: il boicottaggio di Israele e il turismo responsabile in Palestina
PIVATO, GIULIA
2023/2024
Abstract
La trattazione si propone di individuare gli snodi critici riguardanti il ruolo svolto dalle pratiche di boicottaggio turistico nel porre risposta alle conclamate violazioni del diritto umano, ponendole in relazione al tema della mobilità. Ne risultano importanti considerazioni riguardanti, da un lato, le problematicità insite in questo rapporto, da leggersi nell’analisi sulla complicità delle imprese dell’e-tourism e, dall’altro, inerenti all’esplorazione di potenzialità alternative di tutela e sviluppo sostenibile delle popolazioni locali facendo leva sui modelli di turismo responsabile e justice tourism. La presente ricerca intende dispiegare l’ampio bacino dei contributi sul boicottaggio e sulla lotta non-violenta contestualizzata rispetto alla concretezza, attualità e violenza della situazione palestinese. L’efficacia dello strumento di rivendicazione è oggetto di osservazione entro l’orizzonte sempre più geograficamente ampio, digitalmente interconnesso e politicizzato del fenomeno turistico. La ricerca si sofferma su alcuni aspetti chiave derivanti da fenomeni di boicottaggio turistico, in luce del loro ruolo di precursori del caso studio centrale, che hanno ottenuto ampio rilevo e consenso a livello internazionale: la pubblica condanna, che ha preso avvio dopo le elezioni del 1990, dell’illegittimo governo militare post-indipendentista del Myanmar, con soppressione, in più battute, delle istanze pro-democratiche di Aung San Suu Kyi; così come la risposta internazionale alla violenza etnica ed estromissione dal Paese della minoranza Rohingya. Si aggiunge anche l’esercizio del boicottaggio turistico della nazione sudafricana, come forma di protesta in solidarietà con il movimento anti-apartheid all'interno del Paese. Si evidenziano gli elementi di differenza che rendono complessa e più difficilmente permeabile la battaglia del boicottaggio israeliano, in luce delle sue peculiari caratteristiche; si offre una contestualizzazione rispetto campagna diffusa del Boycott, Divestment, Sanctions (BDS) Movement contro Israele per promuovere la creazione un fronte coeso in opposizione alle pretese occupazioniste israeliane e alle violazioni del diritto. I processi di negoziazione degli spazi, così come le più violente casistiche di frammentazione - tramite le barriere di separazione -, appropriazione indebita e occupazione - con l’espansione coloniale israeliana -, sono al centro di riflessioni, indagando come la presentazione del patrimonio rientri in un sistema propagandistico di ottenimento del pubblico consenso. Turismo e Sionismo sono indagati nella loro intersezione sulla base delle strategie comunicative, campagne promozionali e selezione dei target di mercato, in funzione del depotenziamento della facoltà della popolazione Araba di proporre una immagine propria dei suoi territori. Nella discussione si è cercato di individuare come le imprese turistiche dell’e-tourism facciano leva su una rappresentazione in divenire dei confini, giovando della mancata chiarezza rispetto alla ripartizione territoriale, bollando arbitrariamente strutture ricettive e siti di interesse come “israeliane”, invitando lo sguardo a sorvolare gli spazi della segregazione e della negazione, con forti implicazioni sull’agency del singolo turista. A fare da contraltare è l’introduzione dei casi di attori che operano sul campo, i tour operator, esercitando un ruolo comunicativo di fondamentale importanza attraverso l’installazione di una contro-narrazione, nel quadro delle prassi del justice tourism.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.12608/79769