Il presente contributo tenta di mostrare come i disastri tecnologici, la crisi climatica, la contaminazione ambientale, la perdita di biodiversità e il degrado degli ecosistemi non siano eventi fortuiti il cui manifestarsi dipende da cause naturali, quanto piuttosto la prevedibile e diretta conseguenza di un assetto societario basato sul rischio, sullo sfruttamento smodato delle risorse naturali, sul capitalismo consumistico. Il primo capitolo fornisce, nello specifico, la cornice teorico-epistemologica entro cui si fonda l’intero lavoro di ricerca, cercando di evidenziare come l’antropogenesi del danno socio-ecologico perpetuo e globalizzato possa essere compreso attraverso il modello della violenza ambientale che richiama le polarità del perpetratore, della vittima e dello spettatore nella negoziazione del significato degli eventi (Zamperini, 2023). In quest’ottica si inserisce la memoria collettiva come possibilità narrativa e risorsa simbolica per interpretare il passato, comprendere il presente e immaginare un futuro (de Saint Laurent, 2021). L’intreccio tra questi due costrutti, come evidenziato nel secondo e nel terzo capitolo, ha il fine di dispiegare le potenzialità operative della memoria collettiva, capace di influenzare la rappresentazione condivisa degli eventi e validare le esperienze comuni di sofferenza, sollecitando la costruzione culturale del trauma che può favorire la generazione di traiettorie future sostenibili (Alexander, 2012). In particolare, il secondo capitolo approfondisce, mediante una rassegna sistematica della letteratura, le differenti configurazioni e funzioni che la memoria collettiva assume a seguito di un disastro ecologico tecnologico o naturale. Da ciò emerge come la memoria collettiva svolga un ruolo importante nell’aumentare la consapevolezza del rischio, nell’attribuire un significato agli eventi, nel promuovere l’appartenenza, la coesione e la solidarietà tra i membri della comunità colpita, nel favorire l’identità culturale e il senso di continuità storica di un gruppo sociale, nel tramandare intergenerazionalmente le lezioni apprese, nel sollecitare azioni di intervento da parte dello Stato. Porsi all’interno dell’arena politica come voce alternativa a quella istituzionalmente diffusa consente di rivendicare la propria posizione di vittima, denunciando quei meccanismi sottesi e spesso taciuti che rincorrono il profitto e perpetuano l’ingiustizia sociale incuranti dell’integrità dell’ecologia del territorio e della vita di chi vi abita. Nasce da qui l’interesse, attuato nel terzo capitolo, di analizzare la guerra come forma di violenza ambientale ed esempio calzante del modo in cui gli equilibri geopolitici globali sostengono i peculiari interessi economici, ricorrendo alla retorica della sicurezza nazionale, a discapito della salute di persone ed ecosistemi. Attraverso l’analisi tematica delle pubblicazioni prodotte da due diversi organi di informazione – uno istituzionale e uno informale – si tenta di mettere in luce come viene configurato l’impatto del conflitto russo-ucraino sull’ambiente, con particolare attenzione agli elementi della storia che sono taciuti o rivendicati come culturalmente traumatici. Il fine ultimo è quello di aprire una riflessione sul modo in cui la psicologia possa inserirsi come risorsa per promuovere salute all’interno di un contesto di violenza lenta, cumulativa e politicamente alimentata, che genera ambienti insalubri e traumatizzanti.

Narrare la violenza ambientale: memoria collettiva della sofferenza e trauma negato

BALDI, ELENA
2024/2025

Abstract

Il presente contributo tenta di mostrare come i disastri tecnologici, la crisi climatica, la contaminazione ambientale, la perdita di biodiversità e il degrado degli ecosistemi non siano eventi fortuiti il cui manifestarsi dipende da cause naturali, quanto piuttosto la prevedibile e diretta conseguenza di un assetto societario basato sul rischio, sullo sfruttamento smodato delle risorse naturali, sul capitalismo consumistico. Il primo capitolo fornisce, nello specifico, la cornice teorico-epistemologica entro cui si fonda l’intero lavoro di ricerca, cercando di evidenziare come l’antropogenesi del danno socio-ecologico perpetuo e globalizzato possa essere compreso attraverso il modello della violenza ambientale che richiama le polarità del perpetratore, della vittima e dello spettatore nella negoziazione del significato degli eventi (Zamperini, 2023). In quest’ottica si inserisce la memoria collettiva come possibilità narrativa e risorsa simbolica per interpretare il passato, comprendere il presente e immaginare un futuro (de Saint Laurent, 2021). L’intreccio tra questi due costrutti, come evidenziato nel secondo e nel terzo capitolo, ha il fine di dispiegare le potenzialità operative della memoria collettiva, capace di influenzare la rappresentazione condivisa degli eventi e validare le esperienze comuni di sofferenza, sollecitando la costruzione culturale del trauma che può favorire la generazione di traiettorie future sostenibili (Alexander, 2012). In particolare, il secondo capitolo approfondisce, mediante una rassegna sistematica della letteratura, le differenti configurazioni e funzioni che la memoria collettiva assume a seguito di un disastro ecologico tecnologico o naturale. Da ciò emerge come la memoria collettiva svolga un ruolo importante nell’aumentare la consapevolezza del rischio, nell’attribuire un significato agli eventi, nel promuovere l’appartenenza, la coesione e la solidarietà tra i membri della comunità colpita, nel favorire l’identità culturale e il senso di continuità storica di un gruppo sociale, nel tramandare intergenerazionalmente le lezioni apprese, nel sollecitare azioni di intervento da parte dello Stato. Porsi all’interno dell’arena politica come voce alternativa a quella istituzionalmente diffusa consente di rivendicare la propria posizione di vittima, denunciando quei meccanismi sottesi e spesso taciuti che rincorrono il profitto e perpetuano l’ingiustizia sociale incuranti dell’integrità dell’ecologia del territorio e della vita di chi vi abita. Nasce da qui l’interesse, attuato nel terzo capitolo, di analizzare la guerra come forma di violenza ambientale ed esempio calzante del modo in cui gli equilibri geopolitici globali sostengono i peculiari interessi economici, ricorrendo alla retorica della sicurezza nazionale, a discapito della salute di persone ed ecosistemi. Attraverso l’analisi tematica delle pubblicazioni prodotte da due diversi organi di informazione – uno istituzionale e uno informale – si tenta di mettere in luce come viene configurato l’impatto del conflitto russo-ucraino sull’ambiente, con particolare attenzione agli elementi della storia che sono taciuti o rivendicati come culturalmente traumatici. Il fine ultimo è quello di aprire una riflessione sul modo in cui la psicologia possa inserirsi come risorsa per promuovere salute all’interno di un contesto di violenza lenta, cumulativa e politicamente alimentata, che genera ambienti insalubri e traumatizzanti.
2024
Narrating environmental violence: the collective memory of suffering and the denied trauma
Collective memory
Disaster
Environment
Trauma
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.12608/84975