Il presente elaborato nasce da una profonda spinta a scandagliare il territorio, mai del tutto arginabile, dell’Unheimliche che, come l’analisi etimologica di Freud ha potuto svelare, pone le proprie radici nel termine Heim, nella casa dell’essere umano, in ciò che appartiene alla sfera dell’intimo, del familiare e che, mediante un cambio di segno, si trasforma in qualcosa di spaesante, irriconoscibile, palesandosi nel luogo di una radicale estraneità. Il saggio Das Unheimliche, che Freud scrive nell’anno antecedente alla pubblicazione di Al di là del principio di piacere, il 1919, smussa irreversibilmente la cornice entro cui si inseriva il destino delle pulsioni, escidendone la natura silenziosamente inerziale, regressiva, originante dalle pulsioni di morte e dal loro atto radicato in uno stato precedente, in un suo spaesante e voluttuoso ritorno. L’Unheimliche si staglia, dunque, sulla scena come ciò che, seguendo le parole di Schelling, sarebbe dovuto restare celato, segreto, nascosto e che invece è affiorato, generando una sensazione di inquietante estraneità. Il fine di questo lavoro non vuole soltanto adempiere una viva rilettura dell’opera freudiana, dei suoi punti salienti e della sua feconda concatenazione con altre opere dell’autore, bensì anche fare luce sui punti ciechi dello scritto, sugli spazi bianchi, sui vuoti insondati e ricuciti, la cui riapertura, operata successivamente da Jacques Lacan, ne ha promosso una possibile significazione. Quest’ultimo riconobbe per primo la rilevanza teorica dello scritto freudiano, inserendolo nel corso del suo Seminario X (1962-1963), dedicato al tema dell’angoscia. La rielaborazione critica dello scritto di Freud, il suo svisceramento, orientò la riflessione di Lacan sull’Unheimliche in un territorio posto al di là della classica rimozione freudiana, nel luogo di una dimensione strutturalmente inassimilabile, irrappresentabile, fuori significante: il Reale. Il seguente elaborato, vuole districarsi in un incedere ragguardevole dei due grandi Maestri della psicoanalisi, allineandone i corrispettivi suoli di partenza, sin ad evidenziarne, non soltanto le asimmetrie, altresì il fertile proteismo di pensiero, garante di una più ricca e multiforme comprensione dell’Unheimliche: intrinsecamente sconfinato, dunque irriducibile ad un’univoca lettura e ad una caratterizzazione per margini. Il pensiero di Lacan, circa la posizione dell’artista, di precedere lo psicoanalista, funge da limpido e incontestabile richiamo, lì dove l’opera artistica, riesce ad elevarsi a materia bordante l’Unheimliche, il Reale, rendendolo più prossimo, intellegibile per vuoti emersi o, anche, favorendone lo sgorgamento nel registro Simbolico. L’arte cinematografica, allo stesso modo può, sia sul piano dell’enunciazione, escidere il Reale mediante una raffinazione del Simbolico, generando nello spettatore il sentimento di Unheimliche (Bellavita, 2005), sia, sul piano dell’enunciato, favorire una rappresentazione del concetto di Unheimliche. Su quest’ultimo versante, lo schermo-specchio (Metz, 1980-2006) può riflettere sia delle velleità giubilatorie, favorendo nello spettatore il processo di identificazione primaria, sia uno scarto, un residuo che resta escluso dalla visione uniforme della realtà, dalla propria immagine speculare e che Lacan riconduce allo sguardo, quale emersione del Reale sulla scena del visibile. La scelta del lungometraggio Desé Allá, del regista venezuelano Lorenzo Vigas, si è prestata assai feconda ad un’analisi ampia del concetto di Unheimliche, permettendone un ritrovamento sia nelle scelte stilistiche e formali del dispositivo cinematografico, sia in quelle contenutistiche dell’opera, favorendone un progressivo delineamento nel luogo della narrazione.

Forme del perturbante e lo sguardo nel cinema, Desde allá di Lorenzo Vigas

BRUNI, CHIARA
2024/2025

Abstract

Il presente elaborato nasce da una profonda spinta a scandagliare il territorio, mai del tutto arginabile, dell’Unheimliche che, come l’analisi etimologica di Freud ha potuto svelare, pone le proprie radici nel termine Heim, nella casa dell’essere umano, in ciò che appartiene alla sfera dell’intimo, del familiare e che, mediante un cambio di segno, si trasforma in qualcosa di spaesante, irriconoscibile, palesandosi nel luogo di una radicale estraneità. Il saggio Das Unheimliche, che Freud scrive nell’anno antecedente alla pubblicazione di Al di là del principio di piacere, il 1919, smussa irreversibilmente la cornice entro cui si inseriva il destino delle pulsioni, escidendone la natura silenziosamente inerziale, regressiva, originante dalle pulsioni di morte e dal loro atto radicato in uno stato precedente, in un suo spaesante e voluttuoso ritorno. L’Unheimliche si staglia, dunque, sulla scena come ciò che, seguendo le parole di Schelling, sarebbe dovuto restare celato, segreto, nascosto e che invece è affiorato, generando una sensazione di inquietante estraneità. Il fine di questo lavoro non vuole soltanto adempiere una viva rilettura dell’opera freudiana, dei suoi punti salienti e della sua feconda concatenazione con altre opere dell’autore, bensì anche fare luce sui punti ciechi dello scritto, sugli spazi bianchi, sui vuoti insondati e ricuciti, la cui riapertura, operata successivamente da Jacques Lacan, ne ha promosso una possibile significazione. Quest’ultimo riconobbe per primo la rilevanza teorica dello scritto freudiano, inserendolo nel corso del suo Seminario X (1962-1963), dedicato al tema dell’angoscia. La rielaborazione critica dello scritto di Freud, il suo svisceramento, orientò la riflessione di Lacan sull’Unheimliche in un territorio posto al di là della classica rimozione freudiana, nel luogo di una dimensione strutturalmente inassimilabile, irrappresentabile, fuori significante: il Reale. Il seguente elaborato, vuole districarsi in un incedere ragguardevole dei due grandi Maestri della psicoanalisi, allineandone i corrispettivi suoli di partenza, sin ad evidenziarne, non soltanto le asimmetrie, altresì il fertile proteismo di pensiero, garante di una più ricca e multiforme comprensione dell’Unheimliche: intrinsecamente sconfinato, dunque irriducibile ad un’univoca lettura e ad una caratterizzazione per margini. Il pensiero di Lacan, circa la posizione dell’artista, di precedere lo psicoanalista, funge da limpido e incontestabile richiamo, lì dove l’opera artistica, riesce ad elevarsi a materia bordante l’Unheimliche, il Reale, rendendolo più prossimo, intellegibile per vuoti emersi o, anche, favorendone lo sgorgamento nel registro Simbolico. L’arte cinematografica, allo stesso modo può, sia sul piano dell’enunciazione, escidere il Reale mediante una raffinazione del Simbolico, generando nello spettatore il sentimento di Unheimliche (Bellavita, 2005), sia, sul piano dell’enunciato, favorire una rappresentazione del concetto di Unheimliche. Su quest’ultimo versante, lo schermo-specchio (Metz, 1980-2006) può riflettere sia delle velleità giubilatorie, favorendo nello spettatore il processo di identificazione primaria, sia uno scarto, un residuo che resta escluso dalla visione uniforme della realtà, dalla propria immagine speculare e che Lacan riconduce allo sguardo, quale emersione del Reale sulla scena del visibile. La scelta del lungometraggio Desé Allá, del regista venezuelano Lorenzo Vigas, si è prestata assai feconda ad un’analisi ampia del concetto di Unheimliche, permettendone un ritrovamento sia nelle scelte stilistiche e formali del dispositivo cinematografico, sia in quelle contenutistiche dell’opera, favorendone un progressivo delineamento nel luogo della narrazione.
2024
Shapes of uncanny and the gaze in cinema, Desde allá by Lorenzo Vigas
Perturbante
Freud
Lacan
Sguardo
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.12608/84991