Associazione a resistere è uno slogan creato da alcune componenti del movimento torinese e valsusino in risposta ai recenti tentativi di criminalizzazione. Nel contesto dell’espansione dell’uso del penale come strumento privilegiato per la gestione del conflitto sociale, la presente ricerca si concentra sulla contestazione del reato di associazione a delinquere contro organizzazioni e gruppi politici – contestazione riscontrata in una decina di casi in Italia negli ultimi anni. Questa analisi si concentra sul “laboratorio di repressione” riconducibile a Torino e Valsusa, dove con il processo Sovrano sono stati accusati di associazione a delinquere alcuni militanti legati al movimento no tav, al CSOA Askatasuna e allo Spazio popolare Neruda. Attraverso un’analisi documentale degli atti del processo e una serie di interviste a militanti e testimoni privilegiati, si vuole comprendere il come e il perché di questo processo di criminalizzazione. L’uso del reato associativo da parte della Procura, poi smentita con un’assoluzione in primo grado, è esemplificativo di una strategia repressiva volta a delegittimare l’azione politica organizzata, che attraverso il riferimento all’art. 416 c.p. viene rappresentata a livello pubblico e mediatico come criminalità organizzata. Si assiste quindi a un passaggio esplicito dal militante al criminale attraverso l’evocazione di un istinto naturale alla violenza e l’individuazione di una finalità criminale dietro ad attività di mutualismo dal basso. Ne deriva una visione antidemocratica del conflitto politico, la cui analisi è utile per comprendere l’espansione del potere punitivo dello Stato e parallelamente la delegittimazione delle forme di autodifesa e resistenza organizzata.
Associazione a resistere. Criminalizzazione del dissenso politico a Torino e Valsusa tra conflitto, conoscenza e legittimità
CAPRETTA, ANNA
2023/2024
Abstract
Associazione a resistere è uno slogan creato da alcune componenti del movimento torinese e valsusino in risposta ai recenti tentativi di criminalizzazione. Nel contesto dell’espansione dell’uso del penale come strumento privilegiato per la gestione del conflitto sociale, la presente ricerca si concentra sulla contestazione del reato di associazione a delinquere contro organizzazioni e gruppi politici – contestazione riscontrata in una decina di casi in Italia negli ultimi anni. Questa analisi si concentra sul “laboratorio di repressione” riconducibile a Torino e Valsusa, dove con il processo Sovrano sono stati accusati di associazione a delinquere alcuni militanti legati al movimento no tav, al CSOA Askatasuna e allo Spazio popolare Neruda. Attraverso un’analisi documentale degli atti del processo e una serie di interviste a militanti e testimoni privilegiati, si vuole comprendere il come e il perché di questo processo di criminalizzazione. L’uso del reato associativo da parte della Procura, poi smentita con un’assoluzione in primo grado, è esemplificativo di una strategia repressiva volta a delegittimare l’azione politica organizzata, che attraverso il riferimento all’art. 416 c.p. viene rappresentata a livello pubblico e mediatico come criminalità organizzata. Si assiste quindi a un passaggio esplicito dal militante al criminale attraverso l’evocazione di un istinto naturale alla violenza e l’individuazione di una finalità criminale dietro ad attività di mutualismo dal basso. Ne deriva una visione antidemocratica del conflitto politico, la cui analisi è utile per comprendere l’espansione del potere punitivo dello Stato e parallelamente la delegittimazione delle forme di autodifesa e resistenza organizzata.| File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.12608/98312