Questa tesi nasce dal tentativo di indagare le origini dell'associazione tra fotografia e verità. Da sempre, come afferma Susan Sontag nel suo On Photography, «una fotografia – qualunque fotografia – sembra avere con la realtà visibile un rapporto più puro, e quindi più preciso, di altri oggetti mimetici». Un legame che nel dibattito riguardante la rivoluzione digitale viene principalmente attribuito alla fotografia analogica. Come emerge da questa tesi, questa caratterista testimoniale si sviluppa fin dalle origini dello strumento. Analizzando le riflessioni dei primi inventori, degli scienziati e dei fotografi che utilizzano questo mezzo per operare nell'Ottocento, sembra emergere un pensiero comune e diffuso rispetto alle capacità di questo medium: un mito fotografico. Tra le molte qualità attribuite all'immagine fotografica spicca quella dell'oggettività, ossia la capacità di cogliere la realtà in modo freddo e neutrale, in maniera autonoma e distaccata rispetto alla soggettività dell'operatore. La ricerca è strutturata in tre sezioni; nei primi capitoli vengono individuate le qualità attribuite all'immagine fotografica, che vanno a formare la base su cui si sviluppa il mito dell'oggettività fotografica. Nei capitoli seguenti viene invece analizzato il contesto in cui l'invenzione vede la luce, in primo luogo nell'ambiente scientifico e, più in generale, all'interno della società industriale ottocentesca, in cui è forte il pensiero positivista. Nella seconda parte vengono messe in luce le diverse e variegate applicazioni che vedono come protagonista questo nuovo dispositivo. La fotografia diventa uno strumento di conoscenza, implicato nella ricerca scientifica in moltissimi campi che vanno dalla medicina, alla geologia, fino all'astronomia. L'immagine fotografica viene utilizzata per interventi di protezione dei beni culturali, per velocizzare le operazioni catastali, ma le viene anche attribuita la capacità di controllare gli individui nocivi per la collettività, trovando spazio nei primi metodi sistematici per l'identificazione dei criminali. Sul finire del secolo nascono anche i primi esempi di fotografia sociale, un genere di fotografia che si pone l'esplicito proposito di cambiare la società, denunciando le dinamiche considerate più ingiuste e degradanti. Nella terza parte della tesi vengono invece illustrate altre applicazioni del dispositivo, che entrano però in contrasto con l'idea di una fotografia oggettiva. In particolare vengono illustrate le implicazioni ideologiche di applicazioni più o meno “scientifiche” che sfruttano le immagini come prova e giustificazione, un uguale meccanismo che viene sfruttato anche dalla fotografia spiritica. Nell'ultimo capitolo vengono illustrati gli utilizzi artistici e soggettivi della fotografia, nati con il pittorialismo, ma anche la diffusa e praticata attività, presente fin dalle origini del medium, di alterare l'aspetto delle immagini fotografiche.
Il mito dell'oggettività fotografica. Idee e pratiche nella fotografia del XIX secolo
SIGNORATO, PAOLO
2020/2021
Abstract
Questa tesi nasce dal tentativo di indagare le origini dell'associazione tra fotografia e verità. Da sempre, come afferma Susan Sontag nel suo On Photography, «una fotografia – qualunque fotografia – sembra avere con la realtà visibile un rapporto più puro, e quindi più preciso, di altri oggetti mimetici». Un legame che nel dibattito riguardante la rivoluzione digitale viene principalmente attribuito alla fotografia analogica. Come emerge da questa tesi, questa caratterista testimoniale si sviluppa fin dalle origini dello strumento. Analizzando le riflessioni dei primi inventori, degli scienziati e dei fotografi che utilizzano questo mezzo per operare nell'Ottocento, sembra emergere un pensiero comune e diffuso rispetto alle capacità di questo medium: un mito fotografico. Tra le molte qualità attribuite all'immagine fotografica spicca quella dell'oggettività, ossia la capacità di cogliere la realtà in modo freddo e neutrale, in maniera autonoma e distaccata rispetto alla soggettività dell'operatore. La ricerca è strutturata in tre sezioni; nei primi capitoli vengono individuate le qualità attribuite all'immagine fotografica, che vanno a formare la base su cui si sviluppa il mito dell'oggettività fotografica. Nei capitoli seguenti viene invece analizzato il contesto in cui l'invenzione vede la luce, in primo luogo nell'ambiente scientifico e, più in generale, all'interno della società industriale ottocentesca, in cui è forte il pensiero positivista. Nella seconda parte vengono messe in luce le diverse e variegate applicazioni che vedono come protagonista questo nuovo dispositivo. La fotografia diventa uno strumento di conoscenza, implicato nella ricerca scientifica in moltissimi campi che vanno dalla medicina, alla geologia, fino all'astronomia. L'immagine fotografica viene utilizzata per interventi di protezione dei beni culturali, per velocizzare le operazioni catastali, ma le viene anche attribuita la capacità di controllare gli individui nocivi per la collettività, trovando spazio nei primi metodi sistematici per l'identificazione dei criminali. Sul finire del secolo nascono anche i primi esempi di fotografia sociale, un genere di fotografia che si pone l'esplicito proposito di cambiare la società, denunciando le dinamiche considerate più ingiuste e degradanti. Nella terza parte della tesi vengono invece illustrate altre applicazioni del dispositivo, che entrano però in contrasto con l'idea di una fotografia oggettiva. In particolare vengono illustrate le implicazioni ideologiche di applicazioni più o meno “scientifiche” che sfruttano le immagini come prova e giustificazione, un uguale meccanismo che viene sfruttato anche dalla fotografia spiritica. Nell'ultimo capitolo vengono illustrati gli utilizzi artistici e soggettivi della fotografia, nati con il pittorialismo, ma anche la diffusa e praticata attività, presente fin dalle origini del medium, di alterare l'aspetto delle immagini fotografiche.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.12608/11232