In questo elaborato di ricerca abbiamo cercato di delineare, attraverso una analisi del modo in cui la figura del Sofista costruisce il suo rapporto con la realtà, o relazione tra le cose, quale dovrebbe essere il nostro modo di rapportarci alla verità, altrimenti detta anche ‘natura’ delle cose. Il Sofista è un simulatore del sapere; egli prova paura di essere scoperto nel suo sapere di non sapere; egli non è la mera antitesi del Filosofo, ma con il suo atteggiamento rappresenta un modo pragmatico e post-moderno di guardare alla struttura del sapere. Egli preferisce alla verità assoluta, per lui impossibile da raggiungere, il giudizio corretto, o meglio quello che sembra pragmaticamente tale. La verità si annida nel linguaggio, essa viene detta, non conosciuta o disvelata. La verità è un nome indefinibile: da un punto di vista pragmatico essa sembra accessoria e parassitaria rispetto a ciò che viene detto e creduto da coloro che sono depositari del sapere e incaricati di trasmetterlo. La storia del sapere sofistico sembra essere il rimosso della storia del sapere filosofico, ciò che quest’ultimo non vorrebbe mai essere, ma rischia sempre di essere, cioè illusione, menzogna, simulazione. Per questo il problema che rappresenta il nostro rapporto con la verità, o ‘natura’ delle cose, rischia sempre di farci simulare di aver colto l’essenza della realtà, ciò che ipotizziamo essere in sé e per sé e per questo separato ed indipendente dal pensiero; ma tra noi e l’essenza della realtà c’è una profonda frattura, una fondamentale discontinuità, addirittura una impossibilità per il pensiero insito nella struttura della nostra conoscenza. Cogliere questa discontinuità, questa impossibilità per il pensiero, significa cogliere la quiddità, il significato metaforicamente e virtualmente aperto della infinità interna, e di conseguenza anche esterna, della cosa. E’ necessario quindi pensare continuamente ad una riforma del pensiero che raccolga la sfida della complessità della realtà e della natura inesauribile e impensabile della cosa. In this paper I tried to talk about what should be our way of referring to the truth which regards the nature of things, by means of an analysis of the way in which a Sophist can build his relationship with the reality, i.e. the relationship among the things. A Sophist fakes the ability to know, he’s a simulator; he lives in dread of being found out in his knowledge of not knowing. He isn’t a mere antithesis of a Philosopher, but he symbolizes a pragmatic and post-modern way of referring to the knowledge framework by means of his behavior. He likes a judgment which seems to be correct in a pragmatic point of view better than a correct judgment in the sense of the absolute truth, for him impossible to reach. We could think that truth hides in the language, it is said by us, it isn’t known or disclosed by us. The truth is an indefinable name: in a pragmatic point of view it seems incidental and parasitical in comparison with what the guardians of the knowledge and of the educational transmission say and believe. The history of the sophistical knowledge seems to be the repressed content of the history of the philosophical knowledge, what the philosophical knowledge wouldn’t ever like to be but that it could risk always to be always, i.e. an illusion, a lie, a simulation. We could always simulate to understand the essence of reality, i.e. what we hypothesize to be in itself and for this reason itself what we think that it’s separate and independent from our thought; this happens by means of the problem which is represented by our relation with the truth, i.e. the nature of things. But there’s a deep fracture between us and the essence of reality, i.e. there’s a fundamental discontinuity, even an impossibility for our thought about our knowledge framework. If we understand this discontinuity, this impossibility for our thought, we can understand the quiddity, i.e. a metaphorical and virtual meaning of things which could be open to their internal and accordingly also external infinity. Therefore it would be necessary to think about a continual reform of thought which takes up the challenge which regards the complexity of reality and the inexhaustible and unthinkable nature of a thing.

Sofista e verità: origine e significato di un problema storico/filosofico

Maffiotti, Luca
2012/2013

Abstract

In questo elaborato di ricerca abbiamo cercato di delineare, attraverso una analisi del modo in cui la figura del Sofista costruisce il suo rapporto con la realtà, o relazione tra le cose, quale dovrebbe essere il nostro modo di rapportarci alla verità, altrimenti detta anche ‘natura’ delle cose. Il Sofista è un simulatore del sapere; egli prova paura di essere scoperto nel suo sapere di non sapere; egli non è la mera antitesi del Filosofo, ma con il suo atteggiamento rappresenta un modo pragmatico e post-moderno di guardare alla struttura del sapere. Egli preferisce alla verità assoluta, per lui impossibile da raggiungere, il giudizio corretto, o meglio quello che sembra pragmaticamente tale. La verità si annida nel linguaggio, essa viene detta, non conosciuta o disvelata. La verità è un nome indefinibile: da un punto di vista pragmatico essa sembra accessoria e parassitaria rispetto a ciò che viene detto e creduto da coloro che sono depositari del sapere e incaricati di trasmetterlo. La storia del sapere sofistico sembra essere il rimosso della storia del sapere filosofico, ciò che quest’ultimo non vorrebbe mai essere, ma rischia sempre di essere, cioè illusione, menzogna, simulazione. Per questo il problema che rappresenta il nostro rapporto con la verità, o ‘natura’ delle cose, rischia sempre di farci simulare di aver colto l’essenza della realtà, ciò che ipotizziamo essere in sé e per sé e per questo separato ed indipendente dal pensiero; ma tra noi e l’essenza della realtà c’è una profonda frattura, una fondamentale discontinuità, addirittura una impossibilità per il pensiero insito nella struttura della nostra conoscenza. Cogliere questa discontinuità, questa impossibilità per il pensiero, significa cogliere la quiddità, il significato metaforicamente e virtualmente aperto della infinità interna, e di conseguenza anche esterna, della cosa. E’ necessario quindi pensare continuamente ad una riforma del pensiero che raccolga la sfida della complessità della realtà e della natura inesauribile e impensabile della cosa. In this paper I tried to talk about what should be our way of referring to the truth which regards the nature of things, by means of an analysis of the way in which a Sophist can build his relationship with the reality, i.e. the relationship among the things. A Sophist fakes the ability to know, he’s a simulator; he lives in dread of being found out in his knowledge of not knowing. He isn’t a mere antithesis of a Philosopher, but he symbolizes a pragmatic and post-modern way of referring to the knowledge framework by means of his behavior. He likes a judgment which seems to be correct in a pragmatic point of view better than a correct judgment in the sense of the absolute truth, for him impossible to reach. We could think that truth hides in the language, it is said by us, it isn’t known or disclosed by us. The truth is an indefinable name: in a pragmatic point of view it seems incidental and parasitical in comparison with what the guardians of the knowledge and of the educational transmission say and believe. The history of the sophistical knowledge seems to be the repressed content of the history of the philosophical knowledge, what the philosophical knowledge wouldn’t ever like to be but that it could risk always to be always, i.e. an illusion, a lie, a simulation. We could always simulate to understand the essence of reality, i.e. what we hypothesize to be in itself and for this reason itself what we think that it’s separate and independent from our thought; this happens by means of the problem which is represented by our relation with the truth, i.e. the nature of things. But there’s a deep fracture between us and the essence of reality, i.e. there’s a fundamental discontinuity, even an impossibility for our thought about our knowledge framework. If we understand this discontinuity, this impossibility for our thought, we can understand the quiddity, i.e. a metaphorical and virtual meaning of things which could be open to their internal and accordingly also external infinity. Therefore it would be necessary to think about a continual reform of thought which takes up the challenge which regards the complexity of reality and the inexhaustible and unthinkable nature of a thing.
2012
306
Sofistica; Verità; Significato; Complessità; Realtà; Quiddità; Nietzsche F.; Severino E. Sofistic; Truth; Meaning; Complexity; Reality;
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.12608/14928