PROBLEMA: Dai dati epidemiologici internazionali sembrerebbe che la frequenza dell’insorgenza del disturbo del comportamento alimentare sia, oggi, tra i problemi assistenziali più diffusi, e con questo anche la probabilità che la patologia possa causare comportamenti autolesionistici. Uno studio condotto da Herpertz evidenzia come nella popolazione di autoferitori si ritrovi questa diagnosi come prevalente (54%). Gli infermieri assumono un ruolo chiave nella gestione dell’agito autolesionistico, il quale può però incidere in modo rilevante, determinando un’alterazione del rapporto assistenziale infermiere-paziente e delle ricadute sulla vita personale dell’operatore sanitario. Gli studi qualitativi in merito sono oggi limitati e frammentari. SCOPO: Analizzare il vissuto degli infermieri che operano nei DCA, assistendo persone con comportamento autolesionistico, al fine di descrivere le emozioni, i condizionamenti del processo assistenziale e le ricadute sulla vita personale dell’operatore sanitario. DISEGNO DELLO STUDIO: Ricerca di tipo qualitativo fenomenologico. CAMPIONE: Il campione è composto da complessivi 20 infermieri, che hanno prestato assistenza agli utenti presso il Centro per i Disturbi del Comportamento Alimentare e del Peso dell’Azienda ULSS 10 “Veneto Orientale” (n.8 infermieri), e presso la Riabilitazione Nutrizionale della Casa di Cura Villa Garda (n.12 infermieri), entrambi della Regione Veneto, e che hanno vissuto l’esperienza di gestione di comportamenti autolesionistici. METODI E STRUMENTI: A ogni partecipante allo studio è stata richiesta la compilazione di una scheda anagrafica - professionale, per descrivere meglio le caratteristiche del campione, seguita da un’intervista semi-strutturata, con quattro quesiti orientativi. Le domande hanno indagato il vissuto emozionale dell’infermiere, le conseguenze di ciò sull’attuazione dell’assistenza ai medesimi assistiti nella quotidianità o ad assistiti con pregresso comportamento autolesionistico, e le ricadute di tali emozioni sulla vita personale dell’operatore sanitario. L’intervista è stata audio registrata. RISULTATI: L’analisi tramite metodo Van Kaam ha evidenziato che le emozioni esperite dagli infermieri sono in prevalenza quelle di incomprensione, senso di colpa, rabbia, tristezza e disagio. Altri infermieri hanno dichiarato sentimenti di paura, impotenza, malessere generale ma anche pena. Le conseguenze dell’accaduto sull’assistenza ai medesimi assistiti nella quotidianità o ad assistiti con pregresso comportamento autolesionistico si hanno in termini di aumento della sorveglianza e delle attenzioni riservate al paziente, lasciando spazio allo sfogo delle emozioni senza soggiogare l’utente. Le ricadute principali in ambito privato sono causate da una mancata rielaborazione dell’accaduto, che determina ripercussioni sulla famiglia, un rimuginio continuo ma anche sensi di colpa che intaccano la fiducia in se stessi. CONCLUSIONI: Dai risultati dello studio emerge che la gestione e l’assistenza al paziente autolesionista è un processo complesso, cui gli infermieri sono chiamati a intervenire. Tra le emozioni più rilevanti, esplicitate dal professionista sanitario, si evidenzia l’incomprensione, l’impotenza, la rabbia e l’ansia. Un’eclatante contraddizione è determinata dalla mancanza di emozioni; questo dato, risulta correlato alla presenza di un protocollo aziendale di gestione dell’autolesionismo, che definendo la sequenza di azioni per una corretta gestione dell’accaduto, limita l’insorgere di stati d’animo intensi, spesso risultanti un’arma a doppio taglio per l’assistenza stessa. Dai risultati ottenuti si delinea che l’infermiere chiamato a gestire il comportamento autolesionistico, spesso, non detiene le giuste competenze; infatti, involontariamente, il comportamento autolesionista determina l’attuazione di un’assistenza infermieristica più attenta e mirata, risultante però, spesso, controproducente e in opposizione ai principi di fiducia su cui dovrebbe basarsi la relazione terapeutica. Tra le strategie di prevenzione dell’autolesionismo vi sono la corretta gestione delle emozioni, associata alla comunicazione e all’assenza di giudizi; favorita è anche la consapevolizzazione sul problema e il monitoraggio dei fattori di rischio. Dallo studio emerge che questi agiti intaccano l’operatore sanitario; se una parte del campione utilizza quest’esperienza come crescita in ambito lavorativo, un’altra ne ricava strascichi a livello familiare, professionale ed emozionale. Si rileva dunque, che l’infermiere in questo contesto avrebbe bisogno di un supporto psicologico, che lo aiuti nella gestione delle emozioni e nella metabolizzazione di queste; ciò risulta però assente in molti contesti sanitari.

L'autolesionismo nel disturbo del comportamento alimentare: il vissuto degli infermieri

Zagarrio, Dafne Maria Egle
2015/2016

Abstract

PROBLEMA: Dai dati epidemiologici internazionali sembrerebbe che la frequenza dell’insorgenza del disturbo del comportamento alimentare sia, oggi, tra i problemi assistenziali più diffusi, e con questo anche la probabilità che la patologia possa causare comportamenti autolesionistici. Uno studio condotto da Herpertz evidenzia come nella popolazione di autoferitori si ritrovi questa diagnosi come prevalente (54%). Gli infermieri assumono un ruolo chiave nella gestione dell’agito autolesionistico, il quale può però incidere in modo rilevante, determinando un’alterazione del rapporto assistenziale infermiere-paziente e delle ricadute sulla vita personale dell’operatore sanitario. Gli studi qualitativi in merito sono oggi limitati e frammentari. SCOPO: Analizzare il vissuto degli infermieri che operano nei DCA, assistendo persone con comportamento autolesionistico, al fine di descrivere le emozioni, i condizionamenti del processo assistenziale e le ricadute sulla vita personale dell’operatore sanitario. DISEGNO DELLO STUDIO: Ricerca di tipo qualitativo fenomenologico. CAMPIONE: Il campione è composto da complessivi 20 infermieri, che hanno prestato assistenza agli utenti presso il Centro per i Disturbi del Comportamento Alimentare e del Peso dell’Azienda ULSS 10 “Veneto Orientale” (n.8 infermieri), e presso la Riabilitazione Nutrizionale della Casa di Cura Villa Garda (n.12 infermieri), entrambi della Regione Veneto, e che hanno vissuto l’esperienza di gestione di comportamenti autolesionistici. METODI E STRUMENTI: A ogni partecipante allo studio è stata richiesta la compilazione di una scheda anagrafica - professionale, per descrivere meglio le caratteristiche del campione, seguita da un’intervista semi-strutturata, con quattro quesiti orientativi. Le domande hanno indagato il vissuto emozionale dell’infermiere, le conseguenze di ciò sull’attuazione dell’assistenza ai medesimi assistiti nella quotidianità o ad assistiti con pregresso comportamento autolesionistico, e le ricadute di tali emozioni sulla vita personale dell’operatore sanitario. L’intervista è stata audio registrata. RISULTATI: L’analisi tramite metodo Van Kaam ha evidenziato che le emozioni esperite dagli infermieri sono in prevalenza quelle di incomprensione, senso di colpa, rabbia, tristezza e disagio. Altri infermieri hanno dichiarato sentimenti di paura, impotenza, malessere generale ma anche pena. Le conseguenze dell’accaduto sull’assistenza ai medesimi assistiti nella quotidianità o ad assistiti con pregresso comportamento autolesionistico si hanno in termini di aumento della sorveglianza e delle attenzioni riservate al paziente, lasciando spazio allo sfogo delle emozioni senza soggiogare l’utente. Le ricadute principali in ambito privato sono causate da una mancata rielaborazione dell’accaduto, che determina ripercussioni sulla famiglia, un rimuginio continuo ma anche sensi di colpa che intaccano la fiducia in se stessi. CONCLUSIONI: Dai risultati dello studio emerge che la gestione e l’assistenza al paziente autolesionista è un processo complesso, cui gli infermieri sono chiamati a intervenire. Tra le emozioni più rilevanti, esplicitate dal professionista sanitario, si evidenzia l’incomprensione, l’impotenza, la rabbia e l’ansia. Un’eclatante contraddizione è determinata dalla mancanza di emozioni; questo dato, risulta correlato alla presenza di un protocollo aziendale di gestione dell’autolesionismo, che definendo la sequenza di azioni per una corretta gestione dell’accaduto, limita l’insorgere di stati d’animo intensi, spesso risultanti un’arma a doppio taglio per l’assistenza stessa. Dai risultati ottenuti si delinea che l’infermiere chiamato a gestire il comportamento autolesionistico, spesso, non detiene le giuste competenze; infatti, involontariamente, il comportamento autolesionista determina l’attuazione di un’assistenza infermieristica più attenta e mirata, risultante però, spesso, controproducente e in opposizione ai principi di fiducia su cui dovrebbe basarsi la relazione terapeutica. Tra le strategie di prevenzione dell’autolesionismo vi sono la corretta gestione delle emozioni, associata alla comunicazione e all’assenza di giudizi; favorita è anche la consapevolizzazione sul problema e il monitoraggio dei fattori di rischio. Dallo studio emerge che questi agiti intaccano l’operatore sanitario; se una parte del campione utilizza quest’esperienza come crescita in ambito lavorativo, un’altra ne ricava strascichi a livello familiare, professionale ed emozionale. Si rileva dunque, che l’infermiere in questo contesto avrebbe bisogno di un supporto psicologico, che lo aiuti nella gestione delle emozioni e nella metabolizzazione di queste; ciò risulta però assente in molti contesti sanitari.
2015-11-13
infermieri (nurses), emozioni (emotions), autolesionismo (self-harm), disturbo alimentare (eating disorder), assistenza infermieristica (nursing care), vita privata (private life).
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.12608/20414