PROBLEMA: Nel mondo, ma soprattutto nei paesi industrializzati le malattie cardiovascolari, sono in aumento. Tali patologie sono favorite, o aggravate da stili di vita non salutari caratterizzati da una scarsa attività motoria, un’alimentazione scorretta, l’abuso di sigarette, droghe e alcool. Un approccio che può essere utile in ambito cardiologico sembra essere l’educazione terapeutica, la quale ha una grande influenza nella gestione delle patologie croniche, perciò potrebbe essere applicata anche allo scompenso cardiaco (Juillière et al, 2009). SCOPO: Determinare l’efficacia dell’educazione terapeutica nel modificare il comportamento rispetto: la dieta, l’assunzione della terapia farmacologica, l’attività fisica, il controllo del peso, il controllo dei segni e sintomi premonitori della riacutizzazione della patologia, per stabilire quale di essi è più significativo per evitare le riacutizzazioni ed analizzare se ciò permette la riduzione dei ripetuti ricoveri in ospedale per scompenso cardiaco. CAMPIONE: Tutti gli adulti di età >18 con diagnosi di Scompenso Cardiaco Cronico. METODI E STRUMENTI: Si è proceduto ricercando articoli che valutassero gli effetti dell’educazione terapeutica impartita dagli infermieri ai soggetti con diagnosi di Scompenso Cardiaco Cronico. Si sono consultate banche dati quali: MedLine, Cochrane Library, CINAHL, Scopus, EBN Guidelines, Google Scholar. Si sono utilizzati come filtri: l’età >18, lingua inglese e italiano, articoli in free full-text. RISULTATI: Sono stati reperiti 9 studi: n. 3 studi controllati randomizzati, n. 2 Revisioni della Letteratura, n. 1 studio di valutazione multicentrico, n. 1 studio sperimentale, n. 1 studio quantitativo quasi-sperimentale e n. 1 studio retrospettivo. N.6 studi sono stati condotti negli Stati Uniti d’America (1 in North Carolina, 1 in North Carolina, Chicago, San Francisco e Los Angeles, 1 ad Ann Arbor, 1 nel New Jersey, 1 a Los Angeles e 1 in Minnesota) n. 1 si è svolto a Croydon, Londra, n. 1 a Linköping, Svezia ed infine n. 1 nella regione Puglia, Italia. La numerosità dei campioni varia dai 23 pazienti ai 1160 dello studio italiano (numerosità media del campione 591 pazienti). La durata media degli studi prevedeva un tempo minimo di 18 settimane a un massimo di 18 mesi. DISCUSSIONE: Da quanto emerso dalla revisione bibliografica, l’educazione terapeutica si dimostra capace nel produrre abilità di auto-cura a domicilio, il paziente infatti, una volta a casa, è riuscito ad aumentare il proprio livello di auto-cura. I comportamenti di auto-monitoraggio da parte dei pazienti, sono aumentati radicalmente durante il periodo di studio, con una percentuale del 20-27% di pazienti che sono stati capaci di assumere un ruolo più attivo nella gestione della loro condizione (Ciccone et al., 2010). In tale modo, l’educazione terapeutica ha portato a beneficio un altro componente di cura, ovvero la qualità di vita che risulta migliorata in quasi tutti gli studi. Si è potuto notare che per le donne la qualità di vita è rimasta invariata, esse hanno infatti avuto una qualità di vita significativamente più bassa al basale (P=0,046) e a 6 mesi (P=0,0001) rispetto agli uomini (Strömberg et al., 2006). Gli argomenti maggiormente compresi negli interventi di educazione sono: l’attività e l’esercizio fisico, la dieta, il controllo del peso, il monitoraggio dei segni e sintomi. Per quanto riguarda la dieta è stato mostrato un incremento di persone che alla fine dell’intervento hanno cominciato a seguire una dieta qualitativamente migliore, il 32% dei pazienti del gruppo di intervento dopo 30 giorni seguiva una dieta migliore rispetto al 20% dei pazienti del gruppo di controllo (Koelling et al., 2005), a 18 mesi dallo studio l’80,7% seguiva tale comportamento (Ciccone et al., 2010). Per quanto riguarda il peso, viene dimostrato che i pazienti nel gruppo di intervento avevano una maggiore probabilità di pesarsi quotidianamente (66% VS 51% a 30 giorni) (Koelling et al., 2005). Nell’esercizio fisico vi sono stati aumenti nello stato fisico di base, nel numero di giorni a settimana impiegati per l’attività fisica (da 2,53 giorni a 4,18 giorni; P<0,0001) e nel tempo trascorso a fare attività fisica (da 19,87 minuti a 32,90 per allenamento; P<0,0001). Nei valori pressori è stato identificato un abbassamento significativo, sia nella pressione sistolica che in quella diastolica (P<0,0001) (Ciccone et al., 2010). Tutti gli argomenti si sono mostrati efficaci nel ridurre il numero di ricoveri. L’outcome sul numero di ricoveri è stato pienamente raggiunto in tutti gli studi, dimostrando che un progetto di educazione in questo tipo di pazienti affetti da patologia cronica è capace di ridurre il numero di ricoveri e/o riammissioni in ospedale. Il tasso di riammissione era del 14% (7/50) nel gruppo di controllo e l’8,5% (4/47) nel gruppo di intervento (P=0,526) (Williams et al., 2010). Il tempo alla prima ospedalizzazione o morte era significativamente più lungo per il gruppo di educazione (P=0,012). Il rischio relativo di riospedalizzazione o morte per il gruppo di intervento era 0.65 (95% intervallo di confidenza [CI], 0,45 a 0,93; P=0,018) (Koelling et al., 2005). CONCLUSIONI: la qualità degli studi inclusi è limitata. I risultati di questa revisione bibliografica suggeriscono la necessità di condurre futuri studi che valutino direttamente l’efficacia del singolo e specifico intervento educativo. Un ulteriore spunto per le ricerche future potrebbe riguardare un’indagine sui costi dell’intervento in relazione alle ospedalizzazioni. Sarebbe anche curioso valutare se per gli infermieri fosse necessaria una particolare formazione e, se si, che tipo di formazione.
L'efficacia dell'educazione terapeutica nei pazienti con diagnosi di scompenso cardiaco cronico: revisione bibliografica.
Polesello, Eleonora
2015/2016
Abstract
PROBLEMA: Nel mondo, ma soprattutto nei paesi industrializzati le malattie cardiovascolari, sono in aumento. Tali patologie sono favorite, o aggravate da stili di vita non salutari caratterizzati da una scarsa attività motoria, un’alimentazione scorretta, l’abuso di sigarette, droghe e alcool. Un approccio che può essere utile in ambito cardiologico sembra essere l’educazione terapeutica, la quale ha una grande influenza nella gestione delle patologie croniche, perciò potrebbe essere applicata anche allo scompenso cardiaco (Juillière et al, 2009). SCOPO: Determinare l’efficacia dell’educazione terapeutica nel modificare il comportamento rispetto: la dieta, l’assunzione della terapia farmacologica, l’attività fisica, il controllo del peso, il controllo dei segni e sintomi premonitori della riacutizzazione della patologia, per stabilire quale di essi è più significativo per evitare le riacutizzazioni ed analizzare se ciò permette la riduzione dei ripetuti ricoveri in ospedale per scompenso cardiaco. CAMPIONE: Tutti gli adulti di età >18 con diagnosi di Scompenso Cardiaco Cronico. METODI E STRUMENTI: Si è proceduto ricercando articoli che valutassero gli effetti dell’educazione terapeutica impartita dagli infermieri ai soggetti con diagnosi di Scompenso Cardiaco Cronico. Si sono consultate banche dati quali: MedLine, Cochrane Library, CINAHL, Scopus, EBN Guidelines, Google Scholar. Si sono utilizzati come filtri: l’età >18, lingua inglese e italiano, articoli in free full-text. RISULTATI: Sono stati reperiti 9 studi: n. 3 studi controllati randomizzati, n. 2 Revisioni della Letteratura, n. 1 studio di valutazione multicentrico, n. 1 studio sperimentale, n. 1 studio quantitativo quasi-sperimentale e n. 1 studio retrospettivo. N.6 studi sono stati condotti negli Stati Uniti d’America (1 in North Carolina, 1 in North Carolina, Chicago, San Francisco e Los Angeles, 1 ad Ann Arbor, 1 nel New Jersey, 1 a Los Angeles e 1 in Minnesota) n. 1 si è svolto a Croydon, Londra, n. 1 a Linköping, Svezia ed infine n. 1 nella regione Puglia, Italia. La numerosità dei campioni varia dai 23 pazienti ai 1160 dello studio italiano (numerosità media del campione 591 pazienti). La durata media degli studi prevedeva un tempo minimo di 18 settimane a un massimo di 18 mesi. DISCUSSIONE: Da quanto emerso dalla revisione bibliografica, l’educazione terapeutica si dimostra capace nel produrre abilità di auto-cura a domicilio, il paziente infatti, una volta a casa, è riuscito ad aumentare il proprio livello di auto-cura. I comportamenti di auto-monitoraggio da parte dei pazienti, sono aumentati radicalmente durante il periodo di studio, con una percentuale del 20-27% di pazienti che sono stati capaci di assumere un ruolo più attivo nella gestione della loro condizione (Ciccone et al., 2010). In tale modo, l’educazione terapeutica ha portato a beneficio un altro componente di cura, ovvero la qualità di vita che risulta migliorata in quasi tutti gli studi. Si è potuto notare che per le donne la qualità di vita è rimasta invariata, esse hanno infatti avuto una qualità di vita significativamente più bassa al basale (P=0,046) e a 6 mesi (P=0,0001) rispetto agli uomini (Strömberg et al., 2006). Gli argomenti maggiormente compresi negli interventi di educazione sono: l’attività e l’esercizio fisico, la dieta, il controllo del peso, il monitoraggio dei segni e sintomi. Per quanto riguarda la dieta è stato mostrato un incremento di persone che alla fine dell’intervento hanno cominciato a seguire una dieta qualitativamente migliore, il 32% dei pazienti del gruppo di intervento dopo 30 giorni seguiva una dieta migliore rispetto al 20% dei pazienti del gruppo di controllo (Koelling et al., 2005), a 18 mesi dallo studio l’80,7% seguiva tale comportamento (Ciccone et al., 2010). Per quanto riguarda il peso, viene dimostrato che i pazienti nel gruppo di intervento avevano una maggiore probabilità di pesarsi quotidianamente (66% VS 51% a 30 giorni) (Koelling et al., 2005). Nell’esercizio fisico vi sono stati aumenti nello stato fisico di base, nel numero di giorni a settimana impiegati per l’attività fisica (da 2,53 giorni a 4,18 giorni; P<0,0001) e nel tempo trascorso a fare attività fisica (da 19,87 minuti a 32,90 per allenamento; P<0,0001). Nei valori pressori è stato identificato un abbassamento significativo, sia nella pressione sistolica che in quella diastolica (P<0,0001) (Ciccone et al., 2010). Tutti gli argomenti si sono mostrati efficaci nel ridurre il numero di ricoveri. L’outcome sul numero di ricoveri è stato pienamente raggiunto in tutti gli studi, dimostrando che un progetto di educazione in questo tipo di pazienti affetti da patologia cronica è capace di ridurre il numero di ricoveri e/o riammissioni in ospedale. Il tasso di riammissione era del 14% (7/50) nel gruppo di controllo e l’8,5% (4/47) nel gruppo di intervento (P=0,526) (Williams et al., 2010). Il tempo alla prima ospedalizzazione o morte era significativamente più lungo per il gruppo di educazione (P=0,012). Il rischio relativo di riospedalizzazione o morte per il gruppo di intervento era 0.65 (95% intervallo di confidenza [CI], 0,45 a 0,93; P=0,018) (Koelling et al., 2005). CONCLUSIONI: la qualità degli studi inclusi è limitata. I risultati di questa revisione bibliografica suggeriscono la necessità di condurre futuri studi che valutino direttamente l’efficacia del singolo e specifico intervento educativo. Un ulteriore spunto per le ricerche future potrebbe riguardare un’indagine sui costi dell’intervento in relazione alle ospedalizzazioni. Sarebbe anche curioso valutare se per gli infermieri fosse necessaria una particolare formazione e, se si, che tipo di formazione.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.12608/20911