Lionel Casson definì la conquista romana del Mediterraneo «un’anomalia della storia marittima», tanto appariva improbabile che una razza di mediocri navigatori «dall’indole terragna» potesse imporsi come dominatrice dei mari. La dimensione pelagico-urbana, che connota in modo distintivo il mondo greco e fenicio, non sembra infatti appartenere alla protostoria dei futuri signori del Mare Nostrum, che, seguendo l’opinione tradizionalmente consolidata, viene invece ancorata alla terra. In verità i Romani sono ben consapevoli – e ciò a partire da epoche quanto mai remote – dell’importanza strategica del controllo delle vie d’acqua; né potrebbe essere altrimenti, visto che a condizionare la stessa trama cittadina, alle origini dell’Urbe, è un fiume: il Tevere. Al di là di questa prima fondamentale constatazione, ulteriori evidenze storiche e archeologiche contribuiscono a ridimensionare il mito dei Quiriti quali race of lubbers. Venendo alle questioni che interessano il diritto, vi è da interrogarsi sull’impatto che il mare, considerato quale teatro delle operazioni negoziali e dei traffici giuridici, determina sul mondo del ius, vale a dire, sulla riflessione dei prudentes. Essa si frammenta in una casistica tanto particolareggiata da rendere evidente non solo la complessità e la varietà dei problemi connessi all’esercizio della navigazione commerciale e ai traffici mercantili marittimi, ma anche la difficoltà, chiaramente avvertita dai giureconsulti, di inserire nella trama del ius civile e del ius honorarium istituti che talvolta traggono la loro origine da fonti del tutto estranee al tessuto giuridico romano. Difficoltà emblematicamente testimoniata, tra i tanti esempi che si potrebbero citare a questo riguardo, dall’ampiezza del dibattito sviluppatosi in seno alla dottrina romanistica circa il rapporto tra la lex Rhodia de iactu e il regime del iactus mercium elaborato dai prudentes. Sotto una differente angolazione prospettica, si può osservare come la categoria giuridica fondamentale connotante il mare quale teatro delle operazioni negoziali e dei traffici giuridici sia costituita dall’idea di periculum: già per gli Antichi Greci, come testimoniato dal mito e dall’epos omerico, il mare è il luogo ove ogni attività e impresa umana pare contraddistinta dal massimo grado di aleatorietà e precarietà.Non sorprende, dunque, che proprio attorno all’elemento del periculum, e allo specifico scopo di farvi fronte affinando le armi offerte dall’ordinamento, ruotino le soluzioni giuridiche elaborate dai Romani, o comunque le soluzioni che, pur appartenendo alla tradizione giuridica di altri popoli rivieraschi con cui essi siano venuti in contatto, siano poi state ricondotte saldamente dai prudentes all’interno di schemi concettuali e operativi propri della scienza giuridica romana.Va poi osservato che dette soluzioni, pur contraddistinte a vario titolo da profili di specialità, non si traducono necessariamente in specifici tipi negoziali concepiti appositamente per disciplinare i traffici marittimi. In altre parole, l’assetto di interessi concretamente perseguito dalle parti sarà di volta in volta ricondotto agli schemi consolidati (quali quelli, ad esempio, della locatio conductio, del comodato, del mandato o del deposito), senza che sia avvertita, in linea di massima, la necessità di creare dei tipi negoziali nuovi per disciplinare situazioni inedite. È - questo - il fondamentale principio c.d. ʻdi unità dogmaticaʼ , che informa l’intera materia del diritto commerciale marittimo romano ed in ossequio al quale gli istituti vengono costruiti dai prudentes in chiave tendenzialmente unitaria nei diversi settori dell’ordinamento privatistico romano (tra i quali, appunto, quello del diritto marittimo).
Questioni giuridiche inerenti il commercio transmarino in Roma antica
TENTORI, SIMONE
2021/2022
Abstract
Lionel Casson definì la conquista romana del Mediterraneo «un’anomalia della storia marittima», tanto appariva improbabile che una razza di mediocri navigatori «dall’indole terragna» potesse imporsi come dominatrice dei mari. La dimensione pelagico-urbana, che connota in modo distintivo il mondo greco e fenicio, non sembra infatti appartenere alla protostoria dei futuri signori del Mare Nostrum, che, seguendo l’opinione tradizionalmente consolidata, viene invece ancorata alla terra. In verità i Romani sono ben consapevoli – e ciò a partire da epoche quanto mai remote – dell’importanza strategica del controllo delle vie d’acqua; né potrebbe essere altrimenti, visto che a condizionare la stessa trama cittadina, alle origini dell’Urbe, è un fiume: il Tevere. Al di là di questa prima fondamentale constatazione, ulteriori evidenze storiche e archeologiche contribuiscono a ridimensionare il mito dei Quiriti quali race of lubbers. Venendo alle questioni che interessano il diritto, vi è da interrogarsi sull’impatto che il mare, considerato quale teatro delle operazioni negoziali e dei traffici giuridici, determina sul mondo del ius, vale a dire, sulla riflessione dei prudentes. Essa si frammenta in una casistica tanto particolareggiata da rendere evidente non solo la complessità e la varietà dei problemi connessi all’esercizio della navigazione commerciale e ai traffici mercantili marittimi, ma anche la difficoltà, chiaramente avvertita dai giureconsulti, di inserire nella trama del ius civile e del ius honorarium istituti che talvolta traggono la loro origine da fonti del tutto estranee al tessuto giuridico romano. Difficoltà emblematicamente testimoniata, tra i tanti esempi che si potrebbero citare a questo riguardo, dall’ampiezza del dibattito sviluppatosi in seno alla dottrina romanistica circa il rapporto tra la lex Rhodia de iactu e il regime del iactus mercium elaborato dai prudentes. Sotto una differente angolazione prospettica, si può osservare come la categoria giuridica fondamentale connotante il mare quale teatro delle operazioni negoziali e dei traffici giuridici sia costituita dall’idea di periculum: già per gli Antichi Greci, come testimoniato dal mito e dall’epos omerico, il mare è il luogo ove ogni attività e impresa umana pare contraddistinta dal massimo grado di aleatorietà e precarietà.Non sorprende, dunque, che proprio attorno all’elemento del periculum, e allo specifico scopo di farvi fronte affinando le armi offerte dall’ordinamento, ruotino le soluzioni giuridiche elaborate dai Romani, o comunque le soluzioni che, pur appartenendo alla tradizione giuridica di altri popoli rivieraschi con cui essi siano venuti in contatto, siano poi state ricondotte saldamente dai prudentes all’interno di schemi concettuali e operativi propri della scienza giuridica romana.Va poi osservato che dette soluzioni, pur contraddistinte a vario titolo da profili di specialità, non si traducono necessariamente in specifici tipi negoziali concepiti appositamente per disciplinare i traffici marittimi. In altre parole, l’assetto di interessi concretamente perseguito dalle parti sarà di volta in volta ricondotto agli schemi consolidati (quali quelli, ad esempio, della locatio conductio, del comodato, del mandato o del deposito), senza che sia avvertita, in linea di massima, la necessità di creare dei tipi negoziali nuovi per disciplinare situazioni inedite. È - questo - il fondamentale principio c.d. ʻdi unità dogmaticaʼ , che informa l’intera materia del diritto commerciale marittimo romano ed in ossequio al quale gli istituti vengono costruiti dai prudentes in chiave tendenzialmente unitaria nei diversi settori dell’ordinamento privatistico romano (tra i quali, appunto, quello del diritto marittimo).File | Dimensione | Formato | |
---|---|---|---|
Tentori_Simone.pdf
accesso aperto
Dimensione
2.45 MB
Formato
Adobe PDF
|
2.45 MB | Adobe PDF | Visualizza/Apri |
The text of this website © Università degli studi di Padova. Full Text are published under a non-exclusive license. Metadata are under a CC0 License
https://hdl.handle.net/20.500.12608/29364