Stabilire se il difensore è un soggetto in grado di rendere testimonianza nello stesso procedimento penale in cui ha assunto il patrocinio di una delle parti senza dismettere il proprio mandato rappresenta un aspetto problematico per chi si inoltra nello studio della prova per testi. Dalle fonti pervenuteci sappiamo che la questione dell’incompatibilità a testimoniare del patrocinatore è stata oggetto, nel corso della storia, di un lungo dibattito, il quale, a partire dall’epoca del diritto romano, ha visto contrapporsi idee e valori mutevoli. La tendenza complessiva ha portato a negare che il ruolo di difensore sia sovrapponibile con l’ufficio di testimone. Tuttavia, questa soluzione è stata suffragata con argomentazioni diverse a seconda della temperie culturale, del contesto e della sensibilità giuridica del periodo storico in cui la problematica della testimonianza del difensore è stata affrontata. Non solo. Da un certo momento storico, si assiste ad un cambio di approccio nella ricostruzione della relazione tra la funzione difensiva e la funzione testimoniale. Se in epoche più remote essa è stata risolta imponendo un divieto di assunzione di dichiarazioni testimoniali provenienti dal patrono (anche nel caso in cui questi avesse abbandonato l’incarico), con il tempo l’incompatibilità non viene più tradotta in tale senso. Essa, invece, è intesa alla stregua di una preclusione per il difensore a cumulare in capo a sé le due funzioni nello stesso procedimento penale. Ne emerge una contrapposizione tra qualifiche processuali che è deputata ad essere sanata attraverso la prevalenza di una di esse sull’altra: anche sotto questo punto di vista, i tentativi di composizione sono stati molteplici. La riforma sulle indagini difensive, attuata con la legge 7 dicembre 2000, n. 397, ha rimesso in luce la problematica. Essa è intervenuta sull’art. 197 c.p.p. lett. d), contemplando, per la prima volta nella storia del nostro ordinamento, una norma volta all’introduzione di due fattispecie di incompatibilità a testimoniare legate all’ufficio difensivo. Nonostante ciò, non si può dire che sia stato raggiunto un punto d’arrivo, dal momento che, oltre a lasciare aperti alcuni problemi interpretativi inerenti all’estensione applicativa del precetto, la disposizione proibisce solamente al difensore che ha svolto indagini di essere ascoltato in qualità di testimone. Al fine di fare luce su questa particolare ipotesi di incompatibilità, la presente ricerca punta, in primo luogo, ad analizzare il mezzo di prova della testimonianza, il testimone come soggetto processuale e le varie ipotesi di incompatibilità testimoniale, così come sono delineate dal codice. Successivamente, si ricostruiranno alcuni punti principali dell’evoluzione storica e normativa che ha interessato la questione della possibile conciliabilità tra il ruolo del difensore e l’ufficio di teste. Infine, dopo avere esaminato la genesi delle due fattispecie di incompatibilità introdotte dalla riforma sulle indagini difensive alla lett. d) dell’art. 197 c.p.p., verrà analizzato l’odierno scenario dottrinale e giurisprudenziale che si è espresso sul punto, prestando particolare attenzione a due aspetti. Il primo riguarda il trattamento che deve essere riservato al difensore che ha compiuto attività d’indagine difensiva, ed è disciplinato dalla nuova formulazione dell’articolo. L’altro, invece, è quello inerente ai modi possibili con cui ricostruire i rapporti tra la figura del testimone e quella del difensore tout court, ovvero che non ha svolto indagini o che non è ricompreso nel cono d’ombra delineato dalle modifiche apportate dal legislatore.
L'incompatibilità tra difensore e testimone: aspetti problematici
SANFILIPPO, TOMMASO
2021/2022
Abstract
Stabilire se il difensore è un soggetto in grado di rendere testimonianza nello stesso procedimento penale in cui ha assunto il patrocinio di una delle parti senza dismettere il proprio mandato rappresenta un aspetto problematico per chi si inoltra nello studio della prova per testi. Dalle fonti pervenuteci sappiamo che la questione dell’incompatibilità a testimoniare del patrocinatore è stata oggetto, nel corso della storia, di un lungo dibattito, il quale, a partire dall’epoca del diritto romano, ha visto contrapporsi idee e valori mutevoli. La tendenza complessiva ha portato a negare che il ruolo di difensore sia sovrapponibile con l’ufficio di testimone. Tuttavia, questa soluzione è stata suffragata con argomentazioni diverse a seconda della temperie culturale, del contesto e della sensibilità giuridica del periodo storico in cui la problematica della testimonianza del difensore è stata affrontata. Non solo. Da un certo momento storico, si assiste ad un cambio di approccio nella ricostruzione della relazione tra la funzione difensiva e la funzione testimoniale. Se in epoche più remote essa è stata risolta imponendo un divieto di assunzione di dichiarazioni testimoniali provenienti dal patrono (anche nel caso in cui questi avesse abbandonato l’incarico), con il tempo l’incompatibilità non viene più tradotta in tale senso. Essa, invece, è intesa alla stregua di una preclusione per il difensore a cumulare in capo a sé le due funzioni nello stesso procedimento penale. Ne emerge una contrapposizione tra qualifiche processuali che è deputata ad essere sanata attraverso la prevalenza di una di esse sull’altra: anche sotto questo punto di vista, i tentativi di composizione sono stati molteplici. La riforma sulle indagini difensive, attuata con la legge 7 dicembre 2000, n. 397, ha rimesso in luce la problematica. Essa è intervenuta sull’art. 197 c.p.p. lett. d), contemplando, per la prima volta nella storia del nostro ordinamento, una norma volta all’introduzione di due fattispecie di incompatibilità a testimoniare legate all’ufficio difensivo. Nonostante ciò, non si può dire che sia stato raggiunto un punto d’arrivo, dal momento che, oltre a lasciare aperti alcuni problemi interpretativi inerenti all’estensione applicativa del precetto, la disposizione proibisce solamente al difensore che ha svolto indagini di essere ascoltato in qualità di testimone. Al fine di fare luce su questa particolare ipotesi di incompatibilità, la presente ricerca punta, in primo luogo, ad analizzare il mezzo di prova della testimonianza, il testimone come soggetto processuale e le varie ipotesi di incompatibilità testimoniale, così come sono delineate dal codice. Successivamente, si ricostruiranno alcuni punti principali dell’evoluzione storica e normativa che ha interessato la questione della possibile conciliabilità tra il ruolo del difensore e l’ufficio di teste. Infine, dopo avere esaminato la genesi delle due fattispecie di incompatibilità introdotte dalla riforma sulle indagini difensive alla lett. d) dell’art. 197 c.p.p., verrà analizzato l’odierno scenario dottrinale e giurisprudenziale che si è espresso sul punto, prestando particolare attenzione a due aspetti. Il primo riguarda il trattamento che deve essere riservato al difensore che ha compiuto attività d’indagine difensiva, ed è disciplinato dalla nuova formulazione dell’articolo. L’altro, invece, è quello inerente ai modi possibili con cui ricostruire i rapporti tra la figura del testimone e quella del difensore tout court, ovvero che non ha svolto indagini o che non è ricompreso nel cono d’ombra delineato dalle modifiche apportate dal legislatore.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.12608/30859