1. Il problema del dualismo Nella storia del pensiero occidentale si riscontrano molti casi in cui un filosofo o una tradizione hanno insistito sull’opzione di un netto dualismo tra mente-corpo, soggetto-oggetto o tra unità e molteplicità. I termini di queste contrapposizioni sono ritenuti aprioristicamente irriducibili, inconciliabili e considerati come se fossero necessariamente in alternativa comportando l’esclusione di uno o l’altro elemento della coppia. In virtù di questa impossibilità di unificazione concettuale, per quanto riguarda il rapporto tra io e mondo, siamo portati ad osservare e concepire quest’ultimo come un ente distinto, separato e dunque diverso, dal nostro essere. Il soggetto si pone di fronte alla realtà considerandola come una cosa, e i fenomeni, a loro volta, sono visti come oggetti esterni offerti alle manipolazioni concettuali. Lo conferma il presupposto che il valore della filosofia in occidente, viene fatto dipendere esclusivamente da un certo uso del concetto nel rapporto tra essere e pensiero e tutto ciò che si pone al di fuori di questo postulato non può essere considerata filosofia. Ma nel momento in cui viene utilizzata una definizione più ampia, e vicina all’idea platonica di un’inclinazione per il sapere in tutte le sue forme, allora è possibile scorgere esperienze di carattere filosofico estranee e affrontare la questione del dualismo attraverso un’ottica radicalmente diversa come viene fatto nella filosofia orientale , e in particolare possiamo vederne un’esemplificazione nel pensiero speculativo del filosofo giapponese Nishida Kitarō per il quale “il soggetto si trova ad essere partecipe di questa realtà ed è posto già da sempre in un rapporto di mutua determinazione con il mondo”. La realtà così non si oppone al soggetto ma la circonda, e l’intenzionalità della coscienza viene ad essere definita da un’intuizione pre-riflessiva dove l’unitarietà di soggetto e oggetto non è ancora stata infranta. 1.1 L’esperienza pura, il primo approccio all’unificazione del dualismo La ricerca di questa unificazione – come ne parla lo stesso Nishida – inizia ad assumere concretezza dal primo libro pubblicato dal filosofo nel 1911 Uno studio sul bene. Il libro inizia dal presupposto che la visione scientifica, per come è data dalla fisica moderna, non riveli la realtà in sé. Prendiamo per esempio un albero: il fisico considera questo come una aggregazione di atomi e molecole, prive di colore e sapore. Nishida invece accetta come reale l’albero per come è dato. La conseguenza di questo rifiuto del realismo fisico può essere un estremo soggettivismo o solipsismo. Per evitare questa conseguenza sostiene che: “Fare esperienza significa conoscere il reale così com’è. È conoscere in conformità al reale tralasciando completamente ogni intromissione da parte nostra. Puro è in senso proprio lo stato dell’esperienza così com’è, senza nessuna aggiunta del discernimento riflessivo, dato che di solito a ciò che si dice esperienza si mescola in realtà qualche pensiero. Per questo l’esperienza pura è identica all’esperienza immediata”. Risulta chiaro che quando si fa esperienza diretta di qualcosa, e quindi si ha un’esperienza pura, non sono ancora presenti, e quindi non distinti, soggetto [shu 主] e oggetto [kyaku 客 ] (i quali entrano in gioco in una seconda fase) e la conoscenza e il suo oggetto sono uniti. La natura di questa esperienza pura inoltre risulta contraddittoria: “Anche se si tratta di esperienza pura immediata, se consideriamo che essa è qualcosa di composto di esperienze passate o che in seguito la si può scomporre in elementi semplici, allora si può ben dire che sia complessa. Ma per quanto sia in questo senso complessa, nell’istante della sua attuazione l’esperienza pura è sempre un reale unico e semplice”.
Nishida Kitaro: dal dualismo all’unità del luogo attraverso l’esperienza artistica
CESCHIAT, NICOLA
2021/2022
Abstract
1. Il problema del dualismo Nella storia del pensiero occidentale si riscontrano molti casi in cui un filosofo o una tradizione hanno insistito sull’opzione di un netto dualismo tra mente-corpo, soggetto-oggetto o tra unità e molteplicità. I termini di queste contrapposizioni sono ritenuti aprioristicamente irriducibili, inconciliabili e considerati come se fossero necessariamente in alternativa comportando l’esclusione di uno o l’altro elemento della coppia. In virtù di questa impossibilità di unificazione concettuale, per quanto riguarda il rapporto tra io e mondo, siamo portati ad osservare e concepire quest’ultimo come un ente distinto, separato e dunque diverso, dal nostro essere. Il soggetto si pone di fronte alla realtà considerandola come una cosa, e i fenomeni, a loro volta, sono visti come oggetti esterni offerti alle manipolazioni concettuali. Lo conferma il presupposto che il valore della filosofia in occidente, viene fatto dipendere esclusivamente da un certo uso del concetto nel rapporto tra essere e pensiero e tutto ciò che si pone al di fuori di questo postulato non può essere considerata filosofia. Ma nel momento in cui viene utilizzata una definizione più ampia, e vicina all’idea platonica di un’inclinazione per il sapere in tutte le sue forme, allora è possibile scorgere esperienze di carattere filosofico estranee e affrontare la questione del dualismo attraverso un’ottica radicalmente diversa come viene fatto nella filosofia orientale , e in particolare possiamo vederne un’esemplificazione nel pensiero speculativo del filosofo giapponese Nishida Kitarō per il quale “il soggetto si trova ad essere partecipe di questa realtà ed è posto già da sempre in un rapporto di mutua determinazione con il mondo”. La realtà così non si oppone al soggetto ma la circonda, e l’intenzionalità della coscienza viene ad essere definita da un’intuizione pre-riflessiva dove l’unitarietà di soggetto e oggetto non è ancora stata infranta. 1.1 L’esperienza pura, il primo approccio all’unificazione del dualismo La ricerca di questa unificazione – come ne parla lo stesso Nishida – inizia ad assumere concretezza dal primo libro pubblicato dal filosofo nel 1911 Uno studio sul bene. Il libro inizia dal presupposto che la visione scientifica, per come è data dalla fisica moderna, non riveli la realtà in sé. Prendiamo per esempio un albero: il fisico considera questo come una aggregazione di atomi e molecole, prive di colore e sapore. Nishida invece accetta come reale l’albero per come è dato. La conseguenza di questo rifiuto del realismo fisico può essere un estremo soggettivismo o solipsismo. Per evitare questa conseguenza sostiene che: “Fare esperienza significa conoscere il reale così com’è. È conoscere in conformità al reale tralasciando completamente ogni intromissione da parte nostra. Puro è in senso proprio lo stato dell’esperienza così com’è, senza nessuna aggiunta del discernimento riflessivo, dato che di solito a ciò che si dice esperienza si mescola in realtà qualche pensiero. Per questo l’esperienza pura è identica all’esperienza immediata”. Risulta chiaro che quando si fa esperienza diretta di qualcosa, e quindi si ha un’esperienza pura, non sono ancora presenti, e quindi non distinti, soggetto [shu 主] e oggetto [kyaku 客 ] (i quali entrano in gioco in una seconda fase) e la conoscenza e il suo oggetto sono uniti. La natura di questa esperienza pura inoltre risulta contraddittoria: “Anche se si tratta di esperienza pura immediata, se consideriamo che essa è qualcosa di composto di esperienze passate o che in seguito la si può scomporre in elementi semplici, allora si può ben dire che sia complessa. Ma per quanto sia in questo senso complessa, nell’istante della sua attuazione l’esperienza pura è sempre un reale unico e semplice”.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.12608/31042