L’emergenza sanitaria scoppiata a fine febbraio 2020, dovuta alla diffusione del virus SARS-CoV-2, ha coinvolto l’intera collettività, interessando da vicino anche il nostro sistema penitenziario. Nonostante la razionalità preventiva dei provvedimenti emanati, diretti alla chiusura totale delle carceri rispetto alla comunità esterna, le strutture detentive si sono trovate in drammatica difficoltà nel prevenire la diffusione del coronavirus, dimostrandosi ambienti inadatti a contenere il contagio. Le politiche di emergenza adottate dal Paese, volte a garantire il blocco dei colloqui con amici e familiari, la sospensione delle attività lavorative e trattamentali, la limitazione dei permessi premio e del regime di semilibertà, hanno avuto un forte impatto sulla salute psico-fisica della popolazione detenuta, provocando un aumento sia dei sintomi depressivi sia dei sentimenti di ansia e di stress, i quali hanno agito come fattori di ulteriore spinta per l’incremento delle condotte suicidarie e autolesioniste. All’interno dei centri di detenzione, inoltre, l’impossibilità di applicare le principali misure di sicurezza per la prevenzione e il contenimento del virus non ha fatto altro che esacerbare i sentimenti di frustrazione e isolamento dei detenuti, acuendo il conflitto penitenziario, il quale, nel corso dei mesi, ha raggiunto picchi di violenza di assoluta rilevanza storica. Con l’avvento della pandemia, infatti, è stato dimostrato che, in molti casi, la marginalità dell’istituzione penitenziaria e il carattere afflittivo della pena abbiano configurato il carcere come mezzo strutturalmente predisposto a produrre sofferenza, con il rischio, però, di subordinare al primato della punizione altre priorità definite giuridicamente.
Pandemia da SARS-CoV-2 e salute psico-fisica della popolazione penitenziaria
BALDI, ELENA
2021/2022
Abstract
L’emergenza sanitaria scoppiata a fine febbraio 2020, dovuta alla diffusione del virus SARS-CoV-2, ha coinvolto l’intera collettività, interessando da vicino anche il nostro sistema penitenziario. Nonostante la razionalità preventiva dei provvedimenti emanati, diretti alla chiusura totale delle carceri rispetto alla comunità esterna, le strutture detentive si sono trovate in drammatica difficoltà nel prevenire la diffusione del coronavirus, dimostrandosi ambienti inadatti a contenere il contagio. Le politiche di emergenza adottate dal Paese, volte a garantire il blocco dei colloqui con amici e familiari, la sospensione delle attività lavorative e trattamentali, la limitazione dei permessi premio e del regime di semilibertà, hanno avuto un forte impatto sulla salute psico-fisica della popolazione detenuta, provocando un aumento sia dei sintomi depressivi sia dei sentimenti di ansia e di stress, i quali hanno agito come fattori di ulteriore spinta per l’incremento delle condotte suicidarie e autolesioniste. All’interno dei centri di detenzione, inoltre, l’impossibilità di applicare le principali misure di sicurezza per la prevenzione e il contenimento del virus non ha fatto altro che esacerbare i sentimenti di frustrazione e isolamento dei detenuti, acuendo il conflitto penitenziario, il quale, nel corso dei mesi, ha raggiunto picchi di violenza di assoluta rilevanza storica. Con l’avvento della pandemia, infatti, è stato dimostrato che, in molti casi, la marginalità dell’istituzione penitenziaria e il carattere afflittivo della pena abbiano configurato il carcere come mezzo strutturalmente predisposto a produrre sofferenza, con il rischio, però, di subordinare al primato della punizione altre priorità definite giuridicamente.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.12608/33659