Le sfide che ci troviamo ad affrontare nel mondo contemporaneo sono non solo inedite, ma ci si impongono anche con un'intensità e una violenza probabilmente mai viste prima. È oggi evidente che il nostro ambiente naturale sta cambiando, troppo spesso in peggio, e che tali cambiamenti sono con ogni probabilità, almeno in larga parte, riconducibili al modo attraverso cui l’uomo occidentale ha espresso sé stesso nell’ultimo periodo della sua storia. L’entità e l’estensione di queste modificazioni a livello globale hanno portato, non senza dibattito, all’inaugurazione di una nuova era geologica caratterizzata particolarmente dal segno della mano dell’uomo: l’antropocene. Le sfide non arrivano tuttavia solo dall’ambiente naturale, che impone la sua presenza e fa sentire la sua voce oggi più che mai, ma anche, e soprattutto, dal lato sociale. Una proposta che cerca di trovare un’altra direzione a quella che ci ha portato in procinto del baratro odierno arriva dall’antropologo e filosofo Tim Ingold: è in particolare la sua nuova interpretazione del fenomeno tecnologico caratterizzante le società antiche e moderne, occidentali e non, su cui mi soffermo in queste pagine. Il suo è un lavoro principalmente teorico, con rare indicazioni in senso pratico, ma il nuovo punto di vista che propone è talmente radicale da essere sufficiente a porsi, in se stesso, come origine di nuove abitudini pratiche. Il suo approccio è globale, e l’analisi della contemporaneità è svolta funzionalmente in simbiosi con quella dell’antichità e della non-occidentalità. Il quadro che emerge è una tecnologia relativizzata, ovvero che ha perso la sua moderna aurea di assolutezza, e riconnessa a quello che è il non-umano e il non-culturale, in una parola, all’ambiente. A venire meno è la separazione stessa tra natura e cultura, categorie che sono il centro quindi di questa operazione critica.
Tim Ingold: teoria e pratica di una nuova lettura della questione tecnica.
FIORESE, SEBASTIANO
2021/2022
Abstract
Le sfide che ci troviamo ad affrontare nel mondo contemporaneo sono non solo inedite, ma ci si impongono anche con un'intensità e una violenza probabilmente mai viste prima. È oggi evidente che il nostro ambiente naturale sta cambiando, troppo spesso in peggio, e che tali cambiamenti sono con ogni probabilità, almeno in larga parte, riconducibili al modo attraverso cui l’uomo occidentale ha espresso sé stesso nell’ultimo periodo della sua storia. L’entità e l’estensione di queste modificazioni a livello globale hanno portato, non senza dibattito, all’inaugurazione di una nuova era geologica caratterizzata particolarmente dal segno della mano dell’uomo: l’antropocene. Le sfide non arrivano tuttavia solo dall’ambiente naturale, che impone la sua presenza e fa sentire la sua voce oggi più che mai, ma anche, e soprattutto, dal lato sociale. Una proposta che cerca di trovare un’altra direzione a quella che ci ha portato in procinto del baratro odierno arriva dall’antropologo e filosofo Tim Ingold: è in particolare la sua nuova interpretazione del fenomeno tecnologico caratterizzante le società antiche e moderne, occidentali e non, su cui mi soffermo in queste pagine. Il suo è un lavoro principalmente teorico, con rare indicazioni in senso pratico, ma il nuovo punto di vista che propone è talmente radicale da essere sufficiente a porsi, in se stesso, come origine di nuove abitudini pratiche. Il suo approccio è globale, e l’analisi della contemporaneità è svolta funzionalmente in simbiosi con quella dell’antichità e della non-occidentalità. Il quadro che emerge è una tecnologia relativizzata, ovvero che ha perso la sua moderna aurea di assolutezza, e riconnessa a quello che è il non-umano e il non-culturale, in una parola, all’ambiente. A venire meno è la separazione stessa tra natura e cultura, categorie che sono il centro quindi di questa operazione critica.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.12608/36198