Fondamentale punto di partenza per un approfondimento sul tema dell’amministrazione per accordi è sicuramente l’evoluzione del rapporto da sempre sussistente tra pubblica amministrazione e cittadino. Dalla nascita del diritto amministrativo fino a non troppi decenni fa ha prevalso una concezione autoritativa e unilaterale dell’attività amministrativa essenzialmente frutto della generale supremazia riconosciuta alla pubblica amministrazione e all’interesse da essa perseguito, ossia l’interesse pubblico. Con l’avvento dello stato pluriclasse, però, assunse sempre maggiore rilievo il principio partecipativo e, con esso, l’impiego di pratiche di collaborazione e concertazione a garanzia di una maggiore efficienza dell’azione amministrativa. Dunque, il modulo autoritativo cedette progressivamente il passo a quello consensuale. Diversi sono gli ambiti in cui si manifestò questa tendenza dell’ordinamento verso forme di ricerca del consenso. Tra questi può sicuramente menzionarsi quello della pianificazione urbanistica, posto che le convenzioni urbanistiche e, più in particolare, le convenzioni di lottizzazione rappresentarono uno degli strumenti più utilizzati e più importanti della trasformazione del territorio. Per quanto diffuso nella prassi, l’ammissibilità di un esercizio consensuale di potestà pubblicistiche continuò ad essere oggetto di discussione a livello teorico almeno fino all’entrata in vigore della legge 7 agosto 1990, n. 241 (c.d. legge sul procedimento amministrativo), momento in cui l’istituto degli accordi ha finalmente trovato riconoscimento formale sul piano dell’ordinamento positivo. La disciplina così introdotta presentava un’innegabile portata innovativa. Per la prima volta, infatti, la pubblica amministrazione ha potuto dirsi incontestabilmente legittimata a valutare l’opportunità di perseguire l’interesse pubblico evitando, ove possibile, di imporre al cittadino la propria decisione in via autoritativa, piuttosto ricercandone il consenso e, così, giungendo alla stipulazione di un accordo diretto a determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero diretto a sostituire quest’ultimo. L’art. 11 della legge n. 241/1990 tratteggia un generale quadro normativo della fattispecie che, negli anni, non è stato esente da modifiche anche piuttosto rilevanti volte soprattutto ad incentivare la diffusione dell’istituto tra le amministrazioni pubbliche. Tuttavia, nemmeno questi successivi interventi sono stati sufficienti a condurre l’opinione dottrinale verso un’unitaria qualificazione giuridica dell’istituto. Quello attinente alla natura giuridica degli accordi, infatti, è un contrasto che da sempre interessa la dottrina, divisa tra chi colloca la figura nella sfera degli atti amministrativi e chi, diversamente, la colloca nella sfera dei contratti che la pubblica amministrazione stipula nell’esercizio della sua capacità di diritto privato. Contribuisce sicuramente ad alimentare tale contrasto il fatto che la disciplina legislativamente dettata per gli accordi integrativi e sostitutivi del provvedimento si caratterizza per un evidente combinazione di regole pubblicistiche e privatistiche. Un accordo, infatti, deve presentare tutti gli elementi tipici degli atti amministrativi (deve essere funzionale al perseguimento del pubblico interesse, non recare pregiudizio a terzi, deve essere motivato, ecc.), allo stesso tempo, però, ad esso si applicano anche i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili. A tal proposito, particolarmente interessante nonché utile può risultare un approfondimento in ordine al concreto atteggiarsi di alcuni dei principali principi civilistici nell’ambito di una figura, quale quella degli accordi amministrativi, che può indubbiamente collocarsi a cavallo tra provvedimento e contratto, tra diritto amministrativo e diritto privato.

L’applicazione dei principi civilistici agli accordi di diritto pubblico

ZANATTA, ELENA
2021/2022

Abstract

Fondamentale punto di partenza per un approfondimento sul tema dell’amministrazione per accordi è sicuramente l’evoluzione del rapporto da sempre sussistente tra pubblica amministrazione e cittadino. Dalla nascita del diritto amministrativo fino a non troppi decenni fa ha prevalso una concezione autoritativa e unilaterale dell’attività amministrativa essenzialmente frutto della generale supremazia riconosciuta alla pubblica amministrazione e all’interesse da essa perseguito, ossia l’interesse pubblico. Con l’avvento dello stato pluriclasse, però, assunse sempre maggiore rilievo il principio partecipativo e, con esso, l’impiego di pratiche di collaborazione e concertazione a garanzia di una maggiore efficienza dell’azione amministrativa. Dunque, il modulo autoritativo cedette progressivamente il passo a quello consensuale. Diversi sono gli ambiti in cui si manifestò questa tendenza dell’ordinamento verso forme di ricerca del consenso. Tra questi può sicuramente menzionarsi quello della pianificazione urbanistica, posto che le convenzioni urbanistiche e, più in particolare, le convenzioni di lottizzazione rappresentarono uno degli strumenti più utilizzati e più importanti della trasformazione del territorio. Per quanto diffuso nella prassi, l’ammissibilità di un esercizio consensuale di potestà pubblicistiche continuò ad essere oggetto di discussione a livello teorico almeno fino all’entrata in vigore della legge 7 agosto 1990, n. 241 (c.d. legge sul procedimento amministrativo), momento in cui l’istituto degli accordi ha finalmente trovato riconoscimento formale sul piano dell’ordinamento positivo. La disciplina così introdotta presentava un’innegabile portata innovativa. Per la prima volta, infatti, la pubblica amministrazione ha potuto dirsi incontestabilmente legittimata a valutare l’opportunità di perseguire l’interesse pubblico evitando, ove possibile, di imporre al cittadino la propria decisione in via autoritativa, piuttosto ricercandone il consenso e, così, giungendo alla stipulazione di un accordo diretto a determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero diretto a sostituire quest’ultimo. L’art. 11 della legge n. 241/1990 tratteggia un generale quadro normativo della fattispecie che, negli anni, non è stato esente da modifiche anche piuttosto rilevanti volte soprattutto ad incentivare la diffusione dell’istituto tra le amministrazioni pubbliche. Tuttavia, nemmeno questi successivi interventi sono stati sufficienti a condurre l’opinione dottrinale verso un’unitaria qualificazione giuridica dell’istituto. Quello attinente alla natura giuridica degli accordi, infatti, è un contrasto che da sempre interessa la dottrina, divisa tra chi colloca la figura nella sfera degli atti amministrativi e chi, diversamente, la colloca nella sfera dei contratti che la pubblica amministrazione stipula nell’esercizio della sua capacità di diritto privato. Contribuisce sicuramente ad alimentare tale contrasto il fatto che la disciplina legislativamente dettata per gli accordi integrativi e sostitutivi del provvedimento si caratterizza per un evidente combinazione di regole pubblicistiche e privatistiche. Un accordo, infatti, deve presentare tutti gli elementi tipici degli atti amministrativi (deve essere funzionale al perseguimento del pubblico interesse, non recare pregiudizio a terzi, deve essere motivato, ecc.), allo stesso tempo, però, ad esso si applicano anche i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili. A tal proposito, particolarmente interessante nonché utile può risultare un approfondimento in ordine al concreto atteggiarsi di alcuni dei principali principi civilistici nell’ambito di una figura, quale quella degli accordi amministrativi, che può indubbiamente collocarsi a cavallo tra provvedimento e contratto, tra diritto amministrativo e diritto privato.
2021
The application of civil law principles to public law agreements
Accordi
Pianificazione
Principi
Civile
Obbligazioni
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.12608/40123