Per 200 milioni di donne in 31 Paesi al mondo il passaggio dall’infanzia all’età adulta è marchiato con il sangue di una mutilazione genitale. Eseguita senza desiderio di nuocere, con l’intento di rispettare una tradizione tacita imposta dalla comunità di appartenenza, siffatta consuetudine, perlopiù ignorata fintantoché perpetuata unicamente nelle aree colonizzate, una volta importata in Europa è divenuta reato. Dal taglio del clitoride al raschiamento delle piccole labbra, dall’ablazione integrale dei genitali esterni fino a una stretta cucitura che lascia solo un piccolo foro, grande quanto la testa di un fiammifero, per consentire il passaggio, a piccole gocce, del flusso di urina e del sangue mestruale, la mutilazione genitale femminile, diffusa prevalentemente nel continente africano, investe, a scadenze periodiche, con gravi implicazioni sulla salute che possono condurre fino alla morte, la totalità delle donne di un determinato gruppo etnico. A seguito del massiccio afflusso di immigrati che dalla seconda metà del Novecento ha investito l’Italia e, più generalmente, l’intero territorio europeo, trasformando l’Occidente globalizzato in una realtà multiculturale dove convivono soggetti e gruppi sociali appartenenti a ideologie e culture eterogenee, sovente antitetiche, tali pratiche tradizionali, contrastanti con le norme di diritto positivo degli Stati membri che tutelano i diritti fondamentali in essi riconosciuti, quali il diritto all’eguaglianza e alla non discriminazione, alla salute, all’integrità corporale, alla dignità umana e alla vita, si sono sostanziate nell’esempio più lapalissiano di reato culturalmente motivato.
"C'est la coutume": stigmate identitarie. Principi comparatistici e implicazioni medico-legali del reato di mutilazioni genitali femminili.
GALVAN, VALENTINA
2022/2023
Abstract
Per 200 milioni di donne in 31 Paesi al mondo il passaggio dall’infanzia all’età adulta è marchiato con il sangue di una mutilazione genitale. Eseguita senza desiderio di nuocere, con l’intento di rispettare una tradizione tacita imposta dalla comunità di appartenenza, siffatta consuetudine, perlopiù ignorata fintantoché perpetuata unicamente nelle aree colonizzate, una volta importata in Europa è divenuta reato. Dal taglio del clitoride al raschiamento delle piccole labbra, dall’ablazione integrale dei genitali esterni fino a una stretta cucitura che lascia solo un piccolo foro, grande quanto la testa di un fiammifero, per consentire il passaggio, a piccole gocce, del flusso di urina e del sangue mestruale, la mutilazione genitale femminile, diffusa prevalentemente nel continente africano, investe, a scadenze periodiche, con gravi implicazioni sulla salute che possono condurre fino alla morte, la totalità delle donne di un determinato gruppo etnico. A seguito del massiccio afflusso di immigrati che dalla seconda metà del Novecento ha investito l’Italia e, più generalmente, l’intero territorio europeo, trasformando l’Occidente globalizzato in una realtà multiculturale dove convivono soggetti e gruppi sociali appartenenti a ideologie e culture eterogenee, sovente antitetiche, tali pratiche tradizionali, contrastanti con le norme di diritto positivo degli Stati membri che tutelano i diritti fondamentali in essi riconosciuti, quali il diritto all’eguaglianza e alla non discriminazione, alla salute, all’integrità corporale, alla dignità umana e alla vita, si sono sostanziate nell’esempio più lapalissiano di reato culturalmente motivato.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.12608/45045