Il femminismo è quello che potrebbe essere considerato un vero e proprio network, non si può parlare di un femminismo in senso assoluto ma di femminismi, dato il diverso ambito tematico di competenza. Nel 1989, grazie al contributo della giurista Kimberlé Crenshaw, è stato coniato il concetto di intersezionalità che ci permette di analizzare la rete di sovrapposizioni che conducono a possibili discriminazioni e/o oppressioni. Un esempio affinché il concetto venga recepito potrebbe essere la discriminazione sul posto di lavoro subita da una donna nera omosessuale, una rete di soprusi basati su genere, etnia e orientamento sessuale. Ma nel nostro paese c’è una questione in sospeso, si sceglie di ignorare un dato oggettivo: per quanto sia unita, l’Italia non è un Paese unitario. Sono due le macro dimensioni che caratterizzano lo Stato: quella settentrionale e quella meridionale. Non si può ignorare che esistano delle differenze e soprattutto che queste differenze possano essere rilevate a partire dall’inizio della nostra storia come Stato unitario, non si può ignorare come si sia costruita una moltitudine di stereotipi che non hanno fatto altro che demonizzare il Sud del paese. Dunque il punto di questa analisi è la scelta di ricercare le origini di un malcontento generalizzato ma contemporaneamente di poter osservare la nascita del movimento femminista meridionalista attraverso la rivendicazione di una rappresentazione realistica oltre il binomio che vorrebbe le donne meridionali massaie o malafemmine. Attraverso questa indagine si vuole scomporre lo stigma che più appartiene al Mezzogiorno: la mafia. Non la mafia dei padrini, ma delle madrine e di tutte le donne che sono state vittime e hanno lottato contro il sistema.
La donna bifronte: massaia e malafemmina
SANTORO, FRANCESCA
2022/2023
Abstract
Il femminismo è quello che potrebbe essere considerato un vero e proprio network, non si può parlare di un femminismo in senso assoluto ma di femminismi, dato il diverso ambito tematico di competenza. Nel 1989, grazie al contributo della giurista Kimberlé Crenshaw, è stato coniato il concetto di intersezionalità che ci permette di analizzare la rete di sovrapposizioni che conducono a possibili discriminazioni e/o oppressioni. Un esempio affinché il concetto venga recepito potrebbe essere la discriminazione sul posto di lavoro subita da una donna nera omosessuale, una rete di soprusi basati su genere, etnia e orientamento sessuale. Ma nel nostro paese c’è una questione in sospeso, si sceglie di ignorare un dato oggettivo: per quanto sia unita, l’Italia non è un Paese unitario. Sono due le macro dimensioni che caratterizzano lo Stato: quella settentrionale e quella meridionale. Non si può ignorare che esistano delle differenze e soprattutto che queste differenze possano essere rilevate a partire dall’inizio della nostra storia come Stato unitario, non si può ignorare come si sia costruita una moltitudine di stereotipi che non hanno fatto altro che demonizzare il Sud del paese. Dunque il punto di questa analisi è la scelta di ricercare le origini di un malcontento generalizzato ma contemporaneamente di poter osservare la nascita del movimento femminista meridionalista attraverso la rivendicazione di una rappresentazione realistica oltre il binomio che vorrebbe le donne meridionali massaie o malafemmine. Attraverso questa indagine si vuole scomporre lo stigma che più appartiene al Mezzogiorno: la mafia. Non la mafia dei padrini, ma delle madrine e di tutte le donne che sono state vittime e hanno lottato contro il sistema.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.12608/55059