Il presente contributo mira ad effettuare una ricognizione dell’attuale panorama del Terzo settore, alla luce della Riforma che lo ha interessato, con specifico riferimento agli enti religiosi e alla costituzione, da parte di costoro, di patrimoni destinati. Dopo aver inquadrato tale fenomeno nel più ampio contesto delle ipotesi di destinazione e specializzazione della responsabilità, così come previste nell’ordinamento italiano (con particolare attenzione a quelle del fondo patrimoniale e degli istituti di cui agli artt. 2447-bis e 2645-ter c.c.), ed aver messo a fuoco e perimetrato la nozione di «enti religiosi civilmente riconosciuti», così come utilizzata dal legislatore, ci si soffermerà sulla struttura, la gestione ed i vincoli del patrimonio destinato, nonché su elementi negoziali ed effetti conseguenti alla destinazione stessa. In particolare, si analizzeranno le ricadute del Codice del Terzo settore (d.lgs. 117/2017 o c.d. “CTS”) sugli enti religiosi per quanto riguarda la costituzione di patrimoni destinati secondo le norme dello stesso codice a ciò dedicate: una è l’art. 4 CTS, che conosce una “norma gemella” nella disciplina dell’impresa sociale (l’art. 1 del d.lgs. 112/2017), il cui comma 3 prevede l’obbligo di costituzione di un patrimonio destinato (insieme agli obblighi di adozione di un regolamento, che recepisca le norme del CTS, e di tenuta di scritture contabili separate) affinché un ente religioso civilmente riconosciuto (ma in generale un ente di confessioni religiose che abbiano stipulato patti, accordi o intese con lo Stato italiano) possa iscriversi nel RUNTS (Registro Unico Nazione Terzo Settore) e, così, accedere, limitatamente ad un ramo di attività (“di interesse generale”, ai sensi dell’art. 5 CTS, o “diversa”, ai sensi dell’art. 6 CTS), all’applicazione del regime del Terzo settore (c.d. “ramo TS”) o dell’impresa sociale (c.d. “ramo IS”); l’altra è l’art. 10 CTS che, tramite un espresso richiamo agli artt. 2447-bis e ss., c.c., prevede la possibilità generalizzata di costituzione di patrimoni destinati per gli enti del Terzo settore (c.d. “ETS”), purché dotati di personalità giuridica ed iscritti nel registro delle imprese. Al termine di tale disamina si proveranno a trarre delle conclusioni di natura pratica e pragmatica (al netto di alcuna pretesa di saccenteria in merito, bensì avvalendosi di considerazioni avanzate da avveduta dottrina “addetta ai lavori”), circa l’effettiva opportunità, o meno, per tali enti di aderire alla normativa in esame.

Enti religiosi e patrimonio destinato

SIGNORIN, FEDERICO
2022/2023

Abstract

Il presente contributo mira ad effettuare una ricognizione dell’attuale panorama del Terzo settore, alla luce della Riforma che lo ha interessato, con specifico riferimento agli enti religiosi e alla costituzione, da parte di costoro, di patrimoni destinati. Dopo aver inquadrato tale fenomeno nel più ampio contesto delle ipotesi di destinazione e specializzazione della responsabilità, così come previste nell’ordinamento italiano (con particolare attenzione a quelle del fondo patrimoniale e degli istituti di cui agli artt. 2447-bis e 2645-ter c.c.), ed aver messo a fuoco e perimetrato la nozione di «enti religiosi civilmente riconosciuti», così come utilizzata dal legislatore, ci si soffermerà sulla struttura, la gestione ed i vincoli del patrimonio destinato, nonché su elementi negoziali ed effetti conseguenti alla destinazione stessa. In particolare, si analizzeranno le ricadute del Codice del Terzo settore (d.lgs. 117/2017 o c.d. “CTS”) sugli enti religiosi per quanto riguarda la costituzione di patrimoni destinati secondo le norme dello stesso codice a ciò dedicate: una è l’art. 4 CTS, che conosce una “norma gemella” nella disciplina dell’impresa sociale (l’art. 1 del d.lgs. 112/2017), il cui comma 3 prevede l’obbligo di costituzione di un patrimonio destinato (insieme agli obblighi di adozione di un regolamento, che recepisca le norme del CTS, e di tenuta di scritture contabili separate) affinché un ente religioso civilmente riconosciuto (ma in generale un ente di confessioni religiose che abbiano stipulato patti, accordi o intese con lo Stato italiano) possa iscriversi nel RUNTS (Registro Unico Nazione Terzo Settore) e, così, accedere, limitatamente ad un ramo di attività (“di interesse generale”, ai sensi dell’art. 5 CTS, o “diversa”, ai sensi dell’art. 6 CTS), all’applicazione del regime del Terzo settore (c.d. “ramo TS”) o dell’impresa sociale (c.d. “ramo IS”); l’altra è l’art. 10 CTS che, tramite un espresso richiamo agli artt. 2447-bis e ss., c.c., prevede la possibilità generalizzata di costituzione di patrimoni destinati per gli enti del Terzo settore (c.d. “ETS”), purché dotati di personalità giuridica ed iscritti nel registro delle imprese. Al termine di tale disamina si proveranno a trarre delle conclusioni di natura pratica e pragmatica (al netto di alcuna pretesa di saccenteria in merito, bensì avvalendosi di considerazioni avanzate da avveduta dottrina “addetta ai lavori”), circa l’effettiva opportunità, o meno, per tali enti di aderire alla normativa in esame.
2022
Religious bodies and destined heritage
Patrimonio destinato
Enti Religiosi
Prof. Manlio Miele
Enti no profit
Codice terzo settore
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.12608/55629