Il numero crescente di oggetti artificiali lanciati in orbita dall’inizio dell’era dell’esplorazione spaziale comporta un incremento della pericolosità relativa all’ambiente detritico nelle orbite prossime alla Terra dovuto ad un aumento del rischio di collisioni ad alte velocità. Il timore principale è l’innescamento della Sindrome di Kessler, un effetto a cascata proposto nel 1978, in cui i detriti iniziano a collidere tra di loro ed a crescere in modo esponenziale, rendendo alcune orbite inutilizzabili. Diventa quindi vitale studiare delle contromisure per arginare il problema in quanto è chiaro come eventi di impatto anche minori possano portare alla parziale o completa frammentazione di un corpo orbitante impattato e causare danni più o meno catastrofici per le missioni spaziali. Le linee guida dello IADC (Inter-Agency Space Debris Coordination Commitee) tutelano la sostenibilità e sicurezza delle orbite terrestri basse (LEO) e delle orbite Geosincrone (GEO). Esistono diverse contromisure che possono essere adottate per affrontare il problema dei detriti spaziali e possono essere catalogate come attive o passive: le protezioni passive consistono in scudi, di varie forme e materiali che proteggono i satelliti e i loro sistemi dagli impatti iperveloci. L’utilizzo di scudi trova maggiore efficacia nel prevenire danni causati da detriti della dimensione millimetrica e sub-millimetrica. Per prevenire danni da detriti di dimensioni maggiori spesso questi non sono sufficienti ed è necessario ricorrere, se possibile, a manovre evasive. In questo contesto, il centro CISAS dell’Università di Padova ha condotto negli anni diverse campagne sperimentali per comprendere meglio il problema degli impatti iperveloci e per testare la capacità degli scudi e le collisioni in modo efficace. Per farlo è stata sfruttata la facility di ipervelocità che comprende un acceleratore a due stadi a gas leggero (Two-Stage Light-Gas Gun -LGG) in grado di condurre test rappresentativi di impatti fino a velocità di 5.5 Km/s per proiettili con massa fino a 100 mg. Il gran numero di dati sperimentali raccolti negli anni ha rappresentato una base per lo sviluppo di un software semi-empirico, chiamato CSTS, in grado di modellare la collisione di oggetti con una mesh Coarse di elementi macroscopici (MEs) che rappresentano le principali parti di un satellite, connesse tra di loro da link strutturali. Durante l’impatto i MEs sono soggetti a frammentazione e il danno strutturale può essere trasmesso attraverso i links. I frammenti generati possono colpire gli altri elementi creando così un effetto a cascata che rappresenta la frammentazione dell’oggetto. Il software si è rivelato affidabile nel descrivere diverse condizioni di impatto su sistemi complessi. In questo contesto, lo scopo della tesi è quello di sviluppare un modello aggiornato, basato sui dati raccolti dalle campagne sperimentali, che descriva la frammentazione, causata da impatti iperveloci, di piastre in CFRP e confrontarlo con quello implementato precedentemente. Lo scopo è quello di ottenere un modello affidabile, coerente con i dati sperimentali e che permetta di comprendere meglio il comportamento di questa famiglia di materiali in modo tale da essere utilizzati per sistemi di protezione passiva efficaci.
Impatti iperveloci su piastre di CFRP per applicazioni spaziali: caratterizzazione sperimentale e simulazione
ABITI, ALBERTO
2023/2024
Abstract
Il numero crescente di oggetti artificiali lanciati in orbita dall’inizio dell’era dell’esplorazione spaziale comporta un incremento della pericolosità relativa all’ambiente detritico nelle orbite prossime alla Terra dovuto ad un aumento del rischio di collisioni ad alte velocità. Il timore principale è l’innescamento della Sindrome di Kessler, un effetto a cascata proposto nel 1978, in cui i detriti iniziano a collidere tra di loro ed a crescere in modo esponenziale, rendendo alcune orbite inutilizzabili. Diventa quindi vitale studiare delle contromisure per arginare il problema in quanto è chiaro come eventi di impatto anche minori possano portare alla parziale o completa frammentazione di un corpo orbitante impattato e causare danni più o meno catastrofici per le missioni spaziali. Le linee guida dello IADC (Inter-Agency Space Debris Coordination Commitee) tutelano la sostenibilità e sicurezza delle orbite terrestri basse (LEO) e delle orbite Geosincrone (GEO). Esistono diverse contromisure che possono essere adottate per affrontare il problema dei detriti spaziali e possono essere catalogate come attive o passive: le protezioni passive consistono in scudi, di varie forme e materiali che proteggono i satelliti e i loro sistemi dagli impatti iperveloci. L’utilizzo di scudi trova maggiore efficacia nel prevenire danni causati da detriti della dimensione millimetrica e sub-millimetrica. Per prevenire danni da detriti di dimensioni maggiori spesso questi non sono sufficienti ed è necessario ricorrere, se possibile, a manovre evasive. In questo contesto, il centro CISAS dell’Università di Padova ha condotto negli anni diverse campagne sperimentali per comprendere meglio il problema degli impatti iperveloci e per testare la capacità degli scudi e le collisioni in modo efficace. Per farlo è stata sfruttata la facility di ipervelocità che comprende un acceleratore a due stadi a gas leggero (Two-Stage Light-Gas Gun -LGG) in grado di condurre test rappresentativi di impatti fino a velocità di 5.5 Km/s per proiettili con massa fino a 100 mg. Il gran numero di dati sperimentali raccolti negli anni ha rappresentato una base per lo sviluppo di un software semi-empirico, chiamato CSTS, in grado di modellare la collisione di oggetti con una mesh Coarse di elementi macroscopici (MEs) che rappresentano le principali parti di un satellite, connesse tra di loro da link strutturali. Durante l’impatto i MEs sono soggetti a frammentazione e il danno strutturale può essere trasmesso attraverso i links. I frammenti generati possono colpire gli altri elementi creando così un effetto a cascata che rappresenta la frammentazione dell’oggetto. Il software si è rivelato affidabile nel descrivere diverse condizioni di impatto su sistemi complessi. In questo contesto, lo scopo della tesi è quello di sviluppare un modello aggiornato, basato sui dati raccolti dalle campagne sperimentali, che descriva la frammentazione, causata da impatti iperveloci, di piastre in CFRP e confrontarlo con quello implementato precedentemente. Lo scopo è quello di ottenere un modello affidabile, coerente con i dati sperimentali e che permetta di comprendere meglio il comportamento di questa famiglia di materiali in modo tale da essere utilizzati per sistemi di protezione passiva efficaci.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.12608/69601