L’oggetto del presente elaborato concerne il divieto di ius novorum in appello nel rito del lavoro, come suggellato all’art. 437 c.p.c. Tale divieto mira a garantire la stabilità delle controversie, evitando che l'appello si trasformi in un secondo giudizio di merito, con inevitabili ripercussioni sulla durata del processo: a tal fine precludendo alle parti di poter introdurre nuove domande, nuove eccezioni e nuovi mezzi di prova che non siano stati tempestivamente presentati nel primo grado di giudizio, salvo per specifiche eccezioni in deroga al divieto. La tematica de qua è stata a lungo oggetto di dibattito sia in dottrina che in giurisprudenza: quest’ultima ha affrontato segnatamente il concetto di “indispensabilità” della prova, in contrapposizione alla mera “rilevanza” della stessa, al fine di individuare i mezzi istruttori che possono trovare ingresso nel giudizio di seconde cure. L’analisi condotta muove dallo studio dell’art. 437 c.p.c. in raffronto all’art. 345 c.p.c. dettato per il rito ordinario, alla luce del pensiero della dottrina e della giurisprudenza, offrendosi alfine alcuni spunti di riflessioni sull’evoluzione dell’operatività del divieto in esame.
Rito del lavoro e divieto di ius novorum in appello
ZAMBERLAN, ARIANNA
2023/2024
Abstract
L’oggetto del presente elaborato concerne il divieto di ius novorum in appello nel rito del lavoro, come suggellato all’art. 437 c.p.c. Tale divieto mira a garantire la stabilità delle controversie, evitando che l'appello si trasformi in un secondo giudizio di merito, con inevitabili ripercussioni sulla durata del processo: a tal fine precludendo alle parti di poter introdurre nuove domande, nuove eccezioni e nuovi mezzi di prova che non siano stati tempestivamente presentati nel primo grado di giudizio, salvo per specifiche eccezioni in deroga al divieto. La tematica de qua è stata a lungo oggetto di dibattito sia in dottrina che in giurisprudenza: quest’ultima ha affrontato segnatamente il concetto di “indispensabilità” della prova, in contrapposizione alla mera “rilevanza” della stessa, al fine di individuare i mezzi istruttori che possono trovare ingresso nel giudizio di seconde cure. L’analisi condotta muove dallo studio dell’art. 437 c.p.c. in raffronto all’art. 345 c.p.c. dettato per il rito ordinario, alla luce del pensiero della dottrina e della giurisprudenza, offrendosi alfine alcuni spunti di riflessioni sull’evoluzione dell’operatività del divieto in esame.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.12608/73401