“Siamo tutti uguali”, ma se la pelle è di colori diversi? Retorica interculturale e immaginario infantile.

The intercultural discourse - especially in the school environment - is frequently exposed to the risk of being rhetorical and moralizing. This essay aims to explore this danger, examining the texts of primary school children that depict alterity in an ambiguous way, with a coexistence of positive meanings and negative feelings or thoughts regarding black skin. The data analyzed are part of a larger study, which involved students from some primary schools in the Veneto region, collecting their written works through which the prevailing imagery regarding black skin emerges. This research is part of the study The right skin conducted by Paola Tabet in the 1990s, which investigated the presence of racist stereotypes in school and therefore in the society of the time.

Il discorso interculturale – in particolare nel contesto scolastico - è frequentemente esposto al rischio di diventare retorico e moralizzante. Questo contributo si propone di esplorare tale criticità, prendendo in esame i testi di bambini e bambine della scuola primaria che rappresentano l’alterità in modo ambiguo, con una compresenza di accezioni positive e di sentimenti o pensieri negativi riguardanti la pelle nera. I dati analizzati fanno parte di uno studio più ampio, che ha coinvolto gli alunni di alcune scuole primarie del territorio veneto, raccogliendo i loro elaborati scritti attraverso i quali si evince l’immaginario prevalente riguardo la pelle nera. Tale ricerca si inserisce nel solco dello studio La pelle giusta, condotto da Paola Tabet negli anni Novanta, che indagava la presenza di stereotipi razzisti nella scuola e quindi nella società del tempo.