Si parla sempre più di approccio integrale od olistico per quanto riguarda la cura ospedaliera in generale. Anche in ambito pediatrico è ormai fuor di dubbio che la pratica sanitario– farmacologica ,innestata su un vissuto di relazioni umane e di ripristino , per quanto consentito dal contesto ospedaliero, della routine della normalità può avere un’efficacia maggiore nel processo di guarigione e comunque, laddove questa non fosse possibile, migliora la qualità della vita del piccolo paziente. Il bambino nel gioco trova piacere; attraverso il gioco lancia i suoi primi segnali al mondo che lo circonda. Il gioco non è un riempitivo, un tempo rubato al “dovere”( la scuola, lo sport, lo studio di uno strumento musicale… e tutti gli altri impegni di cui sono oberati i nostri bambini fin dall’ infanzia). Il gioco è il momento nel quale il bambino sperimenta quella sospensione dal tempo che lo immette nel suo mondo interiore e gli fa assaporare la bellezza di essere al mondo . Giocare è una cosa seria e non è una prerogativa solo dei bambini. Il puro piacere dell’esperienza ludica dovrebbe essere un fil rouge che attraversa tutte le fasi della vita, dall’alba al tramonto. Se il gioco è un bisogno fisiologico del bambino, la via per metabolizzare tutto quel che gli accade, allora il gioco è un diritto che il bambino deve esercitare in qualsiasi contesto nel quale la vita lo porti, compreso l’ospedale. Sia che il bambino entri per una degenza breve, sia che faccia ricoveri frequenti , attraverso il gioco può guardare la malattia da un’altra prospettiva senza farsene travolgere. Dentro la cornice affettiva delle persone che si prendono cura di lui (genitori, medici, infermieri, insegnanti) il bambino, attraverso il gioco, può tracciare un disegno “personale” e “personalizzato” nel quale trovano posto in maniera unica ed originale tutte le esperienze connesse all’universo della malattia. Con la carica emotiva di cui è portatore il gioco diventa anche veicolo e facilitatore dell’ apprendimento che, talvolta, l’esperienza di separazione da contesti familiari e la sofferenza fisica potrebbero rendere difficile. Quindi il gioco nella sua versatilità (mezzo di comunicazione, occasione di relazione, strumento per il recupero della normalità, mezzo di evasione) aiuta il bambino a superare la diffidenza verso l’ambiente ospedaliero e a instaurare relazioni di fiducia e di collaborazione che possono accelerare percorsi di cura e di guarigione.
Il gioco che cura: efficacia terapeutico-educativa del gioco nel bambino in ospedale
BRUGNERA, ANNA
2024/2025
Abstract
Si parla sempre più di approccio integrale od olistico per quanto riguarda la cura ospedaliera in generale. Anche in ambito pediatrico è ormai fuor di dubbio che la pratica sanitario– farmacologica ,innestata su un vissuto di relazioni umane e di ripristino , per quanto consentito dal contesto ospedaliero, della routine della normalità può avere un’efficacia maggiore nel processo di guarigione e comunque, laddove questa non fosse possibile, migliora la qualità della vita del piccolo paziente. Il bambino nel gioco trova piacere; attraverso il gioco lancia i suoi primi segnali al mondo che lo circonda. Il gioco non è un riempitivo, un tempo rubato al “dovere”( la scuola, lo sport, lo studio di uno strumento musicale… e tutti gli altri impegni di cui sono oberati i nostri bambini fin dall’ infanzia). Il gioco è il momento nel quale il bambino sperimenta quella sospensione dal tempo che lo immette nel suo mondo interiore e gli fa assaporare la bellezza di essere al mondo . Giocare è una cosa seria e non è una prerogativa solo dei bambini. Il puro piacere dell’esperienza ludica dovrebbe essere un fil rouge che attraversa tutte le fasi della vita, dall’alba al tramonto. Se il gioco è un bisogno fisiologico del bambino, la via per metabolizzare tutto quel che gli accade, allora il gioco è un diritto che il bambino deve esercitare in qualsiasi contesto nel quale la vita lo porti, compreso l’ospedale. Sia che il bambino entri per una degenza breve, sia che faccia ricoveri frequenti , attraverso il gioco può guardare la malattia da un’altra prospettiva senza farsene travolgere. Dentro la cornice affettiva delle persone che si prendono cura di lui (genitori, medici, infermieri, insegnanti) il bambino, attraverso il gioco, può tracciare un disegno “personale” e “personalizzato” nel quale trovano posto in maniera unica ed originale tutte le esperienze connesse all’universo della malattia. Con la carica emotiva di cui è portatore il gioco diventa anche veicolo e facilitatore dell’ apprendimento che, talvolta, l’esperienza di separazione da contesti familiari e la sofferenza fisica potrebbero rendere difficile. Quindi il gioco nella sua versatilità (mezzo di comunicazione, occasione di relazione, strumento per il recupero della normalità, mezzo di evasione) aiuta il bambino a superare la diffidenza verso l’ambiente ospedaliero e a instaurare relazioni di fiducia e di collaborazione che possono accelerare percorsi di cura e di guarigione.| File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.12608/94598