Starting from a critical reinterpretation of the so-called “southern question”, this contribution aims to retrace the historical genealogy of the construction of southern Italy as a “criminal space”, analysing the discourses and mechanisms that, from the unification of the Italian state to the present day, have criminalised and continue to criminalise the southern populations. Anti-southernism, as a process of construction of the "other" and criminalisation, has taken different forms over time. Throughout the 19th century, the South was represented as an obstacle to the full development of the process of building the Italian state. To explain the incompatibility of the South with Northern European modernity, positivist criminology produced an image of the South as a backward, primitive and criminal geography, described in biological and specifically “racial” terms. Fascism subsequently included the South within the borders of the Italian nation, thus announcing the disappearance of the “Southern question”. In the post-war period, internal migration reactivated anti-Southern narratives, subjecting Southerners to differential inclusion in citizenship rights based on stigmatisation and precariousness. Today, the adoption of legal instruments such as the Caivano Decree or Differentiated Autonomy confirms the persistence of the criminalisation of the southern space, fuelled by a security logic that addresses structural inequalities with the expansion of criminal law. Through the lens of critical criminology, critical studies on “race” and post-colonial and decolonial perspectives, this contribution proposes to read anti-southernism within the history of European racism and with a perspective of the phenomenon as a selective device - historical and contemporary - for disciplining and controlling the southern subaltern classes.

A partire da una rilettura critica della cosiddetta “questione meridionale”, questo contributo intende ricostruire la genealogia storica della costruzione del Sud Italia come “spazio criminale”, analizzando i discorsi e i dispositivi che, a partire dall’unificazione dello Stato italiano fino ai giorni nostri, hanno criminalizzato e continuano a criminalizzare le popolazioni meridionali. L’antimeridionalismo, come processo di alterizzazione e di criminalizzazione, ha assunto diverse forme nel tempo. Per tutto l’Ottocento, il Meridione è stato rappresentato come un ostacolo al pieno sviluppo del processo di costruzione dello Stato italiano e, per spiegare l’incompatibilità del Sud con la modernità nordeuropea, la criminologia positivista ha prodotto un immaginario di Sud come geografia arretrata, primitiva e criminale, descritto in termini biologizzanti e propriamente “razziali”. Il fascismo, in seguito, ha incluso il Sud all’interno dei confini della Nazione italiana, annunciando così la scomparsa della “questione meridionale”. Nel secondo dopoguerra, le migrazioni interne hanno riattivato narrazioni antimeridionaliste, inscrivendo le persone meridionali in dispositivi di inclusione differenziale ai diritti di cittadinanza fondati su stigmatizzazione e precarizzazione. Oggi, l’adozione di strumenti giuridici come il Decreto Caivano o l’Autonomia Differenziata, conferma la persistenza della criminalizzazione dello spazio meridionale, alimentata da una logica securitaria che affronta disuguaglianze strutturali con l’espansione del diritto penale. Attraverso le lenti della criminologia critica, degli studi critici sulla “razza” e delle prospettive post e decoloniali, il contributo propone di leggere l’antimeridionalismo all’interno della storia del razzismo europeo e con una prospettiva del fenomeno come dispositivo selettivo - storico e contemporaneo - di disciplinamento e controllo delle classi subalterne meridionali.

Geografie criminali a Sud: genealogie storiche, discorsi e dispositivi contemporanei dell'antimeridionalismo

SERINO, ILARIA
2024/2025

Abstract

Starting from a critical reinterpretation of the so-called “southern question”, this contribution aims to retrace the historical genealogy of the construction of southern Italy as a “criminal space”, analysing the discourses and mechanisms that, from the unification of the Italian state to the present day, have criminalised and continue to criminalise the southern populations. Anti-southernism, as a process of construction of the "other" and criminalisation, has taken different forms over time. Throughout the 19th century, the South was represented as an obstacle to the full development of the process of building the Italian state. To explain the incompatibility of the South with Northern European modernity, positivist criminology produced an image of the South as a backward, primitive and criminal geography, described in biological and specifically “racial” terms. Fascism subsequently included the South within the borders of the Italian nation, thus announcing the disappearance of the “Southern question”. In the post-war period, internal migration reactivated anti-Southern narratives, subjecting Southerners to differential inclusion in citizenship rights based on stigmatisation and precariousness. Today, the adoption of legal instruments such as the Caivano Decree or Differentiated Autonomy confirms the persistence of the criminalisation of the southern space, fuelled by a security logic that addresses structural inequalities with the expansion of criminal law. Through the lens of critical criminology, critical studies on “race” and post-colonial and decolonial perspectives, this contribution proposes to read anti-southernism within the history of European racism and with a perspective of the phenomenon as a selective device - historical and contemporary - for disciplining and controlling the southern subaltern classes.
2024
Criminal geographies in Southern Italy: historical genealogies, discourses and contemporary devices of Anti-Southern oppression
A partire da una rilettura critica della cosiddetta “questione meridionale”, questo contributo intende ricostruire la genealogia storica della costruzione del Sud Italia come “spazio criminale”, analizzando i discorsi e i dispositivi che, a partire dall’unificazione dello Stato italiano fino ai giorni nostri, hanno criminalizzato e continuano a criminalizzare le popolazioni meridionali. L’antimeridionalismo, come processo di alterizzazione e di criminalizzazione, ha assunto diverse forme nel tempo. Per tutto l’Ottocento, il Meridione è stato rappresentato come un ostacolo al pieno sviluppo del processo di costruzione dello Stato italiano e, per spiegare l’incompatibilità del Sud con la modernità nordeuropea, la criminologia positivista ha prodotto un immaginario di Sud come geografia arretrata, primitiva e criminale, descritto in termini biologizzanti e propriamente “razziali”. Il fascismo, in seguito, ha incluso il Sud all’interno dei confini della Nazione italiana, annunciando così la scomparsa della “questione meridionale”. Nel secondo dopoguerra, le migrazioni interne hanno riattivato narrazioni antimeridionaliste, inscrivendo le persone meridionali in dispositivi di inclusione differenziale ai diritti di cittadinanza fondati su stigmatizzazione e precarizzazione. Oggi, l’adozione di strumenti giuridici come il Decreto Caivano o l’Autonomia Differenziata, conferma la persistenza della criminalizzazione dello spazio meridionale, alimentata da una logica securitaria che affronta disuguaglianze strutturali con l’espansione del diritto penale. Attraverso le lenti della criminologia critica, degli studi critici sulla “razza” e delle prospettive post e decoloniali, il contributo propone di leggere l’antimeridionalismo all’interno della storia del razzismo europeo e con una prospettiva del fenomeno come dispositivo selettivo - storico e contemporaneo - di disciplinamento e controllo delle classi subalterne meridionali.
Antimeridionalismo
Sud
Criminalizzazione
Alterità
Controllo sociale
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.12608/94992