La scomparsa di Emanuela Orlandi, avvenuta il 22 giugno 1983 nel cuore di Roma, rappresenta uno dei misteri più inquietanti e complessi della storia italiana e vaticana del secondo dopoguerra. A oltre quarant’anni di distanza, il caso continua a sollevare interrogativi che travalicano la semplice cronaca nera, configurandosi come un crocevia emblematico tra potere spirituale e potere temporale. Questa tesi si propone di analizzare il caso Orlandi non solo come vicenda individuale, ma come nodo simbolico di un intreccio oscuro che coinvolge istituzioni religiose, apparati statali, servizi segreti e criminalità organizzata. Il primo capitolo affronta la cosiddetta “pista turca”, legata al contesto del terrorismo internazionale durante la Guerra Fredda e al tentato attentato a Papa Giovanni Paolo II da parte di Mehmet Ali Ağca. Si esplora il ruolo dei servizi segreti internazionali e l’ipotesi dello scambio Orlandi-Ağca, in un quadro geopolitico in cui il Vaticano giocava un ruolo attivo nella lotta contro il comunismo. Il secondo capitolo si concentra sulla criminalità organizzata, in particolare sulla Banda della Magliana, e sui suoi legami con ambienti vaticani, finanziari e deviati dello Stato. La figura di Enrico “Renatino” De Pedis, la sua sepoltura nella basilica di Sant’Apollinare e le ipotesi su un rapimento a scopo intimidatorio nei confronti del Vaticano rappresentano elementi centrali di questa parte dell’analisi. Il terzo capitolo approfondisce il comportamento delle istituzioni, in particolare il silenzio del Vaticano e le ambiguità del contesto finanziario dell’epoca. Vengono esaminati i ruoli dello IOR, di mons. Paul Marcinkus, del Banco Ambrosiano e della loggia massonica P2, per comprendere come dinamiche di potere parallelo abbiano potuto influenzare la gestione – o l’occultamento – della vicenda. La conclusione offre una sintesi dei tre principali filoni d’indagine, sottolineando l’assenza di una verità processuale e la persistenza di un vuoto istituzionale. Si propone inoltre la realizzazione di un’intervista a Pietro Orlandi come testimonianza diretta e atto di resistenza civile. Il caso viene così interpretato come paradigma di un sistema in cui la verità storica, la verità giudiziaria e la giustizia effettiva non coincidono. Infine, si suggeriscono spunti per ulteriori studi sul ruolo della memoria, della pressione mediatica e della società civile nella costruzione di una verità condivisa in contesti segnati dal potere e dal silenzio.

In nome del silenzio: La scomparsa di Emanuela Orlandi tra Vaticano, terrorismo internazionale e criminalità organizzata

BERNARDI, LUCA
2024/2025

Abstract

La scomparsa di Emanuela Orlandi, avvenuta il 22 giugno 1983 nel cuore di Roma, rappresenta uno dei misteri più inquietanti e complessi della storia italiana e vaticana del secondo dopoguerra. A oltre quarant’anni di distanza, il caso continua a sollevare interrogativi che travalicano la semplice cronaca nera, configurandosi come un crocevia emblematico tra potere spirituale e potere temporale. Questa tesi si propone di analizzare il caso Orlandi non solo come vicenda individuale, ma come nodo simbolico di un intreccio oscuro che coinvolge istituzioni religiose, apparati statali, servizi segreti e criminalità organizzata. Il primo capitolo affronta la cosiddetta “pista turca”, legata al contesto del terrorismo internazionale durante la Guerra Fredda e al tentato attentato a Papa Giovanni Paolo II da parte di Mehmet Ali Ağca. Si esplora il ruolo dei servizi segreti internazionali e l’ipotesi dello scambio Orlandi-Ağca, in un quadro geopolitico in cui il Vaticano giocava un ruolo attivo nella lotta contro il comunismo. Il secondo capitolo si concentra sulla criminalità organizzata, in particolare sulla Banda della Magliana, e sui suoi legami con ambienti vaticani, finanziari e deviati dello Stato. La figura di Enrico “Renatino” De Pedis, la sua sepoltura nella basilica di Sant’Apollinare e le ipotesi su un rapimento a scopo intimidatorio nei confronti del Vaticano rappresentano elementi centrali di questa parte dell’analisi. Il terzo capitolo approfondisce il comportamento delle istituzioni, in particolare il silenzio del Vaticano e le ambiguità del contesto finanziario dell’epoca. Vengono esaminati i ruoli dello IOR, di mons. Paul Marcinkus, del Banco Ambrosiano e della loggia massonica P2, per comprendere come dinamiche di potere parallelo abbiano potuto influenzare la gestione – o l’occultamento – della vicenda. La conclusione offre una sintesi dei tre principali filoni d’indagine, sottolineando l’assenza di una verità processuale e la persistenza di un vuoto istituzionale. Si propone inoltre la realizzazione di un’intervista a Pietro Orlandi come testimonianza diretta e atto di resistenza civile. Il caso viene così interpretato come paradigma di un sistema in cui la verità storica, la verità giudiziaria e la giustizia effettiva non coincidono. Infine, si suggeriscono spunti per ulteriori studi sul ruolo della memoria, della pressione mediatica e della società civile nella costruzione di una verità condivisa in contesti segnati dal potere e dal silenzio.
2024
In the Name of Silence: The Disappearance of Emanuela Orlandi Between the Vatican, International Terrorism, and Organized Crime
Orlandi
Vaticano
Terrorismo
Mafie
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.12608/95644