Il pianto è il primo strumento che il neonato ha a disposizione per comunicare con gli adulti e per influenzarne il comportamento in modo da soddisfare i propri bisogni. Per questo si qualifica come stimolo emotivo particolarmente saliente, in grado di innescare nell’adulto la messa in atto di comportamenti di cura nei confronti del piccolo. Negli ultimi decenni la ricerca, grazie soprattutto all’ausilio delle tecniche di neuroimmagine, ha fatto molti passi avanti nell’individuazione delle basi neurobiologiche e fisiologiche sottostanti alla predisposizione biologica dell’adulto a prendersi cura del bambino. Gli studi hanno dimostrato che l’attivazione cerebrale dell’adulto al pianto infantile è maggiore nei genitori rispetto ai non genitori. Inoltre, è stata riscontrata un’associazione tra il livello di attivazione di determinate aree cerebrali in risposta al pianto infantile e la risposta psicologica al pianto, ovvero come il pianto viene interpretato e quali emozioni suscita. Differenze individuali nella risposta psicologica al pianto infantile hanno importanti implicazioni cliniche, in quanto possono influenzare il comportamento messo in atto dall’adulto in risposta alla segnalazione del bambino: ad esempio, se il pianto suscita sentimenti di avversione, frustrazione, rabbia, impotenza, paura, colpa, vergogna e se viene valutato come intenzionalmente ostile o angosciante, il rischio che vengano messi in atto comportamenti di cura disfunzionali, aggressivi o “rigidi”, al posto di risposte empatiche, aumenta. La sensibilità e la risposta al pianto infantile sono quindi influenzate da diversi fattori, legati sia all’adulto che al bambino, tra i quali la presenza di esperienze precedenti di assistenza all’infanzia, aspetto poco approfondito in letteratura su cui si concentrerà il presente elaborato.
L'effetto dell'esperienza di cura sulla capacità di elaborazione di vocalizzazioni infantili in adulti non genitori - uno studio preliminare
BETTIN, ADELAIDE
2021/2022
Abstract
Il pianto è il primo strumento che il neonato ha a disposizione per comunicare con gli adulti e per influenzarne il comportamento in modo da soddisfare i propri bisogni. Per questo si qualifica come stimolo emotivo particolarmente saliente, in grado di innescare nell’adulto la messa in atto di comportamenti di cura nei confronti del piccolo. Negli ultimi decenni la ricerca, grazie soprattutto all’ausilio delle tecniche di neuroimmagine, ha fatto molti passi avanti nell’individuazione delle basi neurobiologiche e fisiologiche sottostanti alla predisposizione biologica dell’adulto a prendersi cura del bambino. Gli studi hanno dimostrato che l’attivazione cerebrale dell’adulto al pianto infantile è maggiore nei genitori rispetto ai non genitori. Inoltre, è stata riscontrata un’associazione tra il livello di attivazione di determinate aree cerebrali in risposta al pianto infantile e la risposta psicologica al pianto, ovvero come il pianto viene interpretato e quali emozioni suscita. Differenze individuali nella risposta psicologica al pianto infantile hanno importanti implicazioni cliniche, in quanto possono influenzare il comportamento messo in atto dall’adulto in risposta alla segnalazione del bambino: ad esempio, se il pianto suscita sentimenti di avversione, frustrazione, rabbia, impotenza, paura, colpa, vergogna e se viene valutato come intenzionalmente ostile o angosciante, il rischio che vengano messi in atto comportamenti di cura disfunzionali, aggressivi o “rigidi”, al posto di risposte empatiche, aumenta. La sensibilità e la risposta al pianto infantile sono quindi influenzate da diversi fattori, legati sia all’adulto che al bambino, tra i quali la presenza di esperienze precedenti di assistenza all’infanzia, aspetto poco approfondito in letteratura su cui si concentrerà il presente elaborato.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.12608/28969