La questione dei minori assume un peso significativo nella rete dei servizi di welfare del nostro paese. I dati quantitativi dimostrano una crescita generale del fenomeno, ma anche qualitativamente è possibile verificare un cambiamento: il mutamento sostanziale dei bisogni, che mette a dura prova il sistema stesso. Anche i linguaggi propri del sistema di servizi alla persona sembrano modificarsi parallelamente agli aspetti sociologici: dal concetto dominante di “tutela” ci si muove sempre di più verso l’importante tema dell’emancipazione personale. Dentro questo scenario, le comunità educative rappresentano una risorsa spesso sottovalutata nel contesto degli interventi e servizi a favore dei minori. Possono infatti fornire uno strumento qualitativo e non semplicemente sostitutivo, in grado di consentire percorsi attenti alla risoluzione dei propri vissuti e allo sviluppo delle proprie risorse: orientati cioè ad una vera emancipazione. Nella prima parte di questa tesi si cerca dunque di mettere a fuoco il tema centrale nelle sue dimensioni generale e caratteristiche specifiche, cercando di evidenziare i dati che confermano i cambiamenti in atto. Nella seconda parte si approfondisce il tema della qualità degli interventi educativi dedicati ai minorenni secondo parametri non consueti e perciò non solo orientati a criteri di risultato (efficienza ed efficacia). Per fare questo, si cerca di fare propri concetti espressi da alcuni autori, tra cui P. Donati, che propongono di identificare la qualità attraverso la definizione di una molteplicità di criteri – di “risultato” e di “processo” – che possono aiutarci a definire Buone Prassi intese secondo il metodo relazionale (citato da P.P. Donati). Si prova quindi a mettere a fuoco il concetto di Capitale Sociale quale bene relazionale delle persone e dei gruppi sociali, per arrivare a definire ipotesi di percorsi orientati all’emancipazione dei minori accolti in comunità. Si definisce infine cosa siano e come possano essere messe a frutto quelle che si possono definire come “Buone Prassi”, sempre secondo il metodo relazionale. L’ultimo passaggio di questa seconda parte è dedicato alla presentazione di un sistema di progettazione e valutazione degli interventi personalizzati utilizzabili nelle comunità educative. Si tratta del Progetto Educativo Personalizzato, che assume una doppia funzione: progettuale e valutativa. Si cerca di dimostrare che il PEP sia uno strumento non separato dall’operatività che accompagna l’azione, ne condiziona gli sviluppi mentre osserva e riflette sugli esiti, le criticità, i successi raggiunti. In questo senso rappresenta una forma di valutazione che è ben collocata nell’azione. Tuttavia, il PEP, per come è stato usato fino ad oggi, rappresenta il limite di quei modelli qualitativi che pongono l’attenzione sui criteri di efficienza (delle risorse impiegate rispetto ai bisogni) e dell’efficacia (ovvero del raggiungimento degli obiettivi previsti). Si cerca pertanto di provare come il modello relazionale proposto da P. Donati possa rappresentare una vera e propria innovazione - quando sintetizzato attraverso uno schema ben strutturato. Il modello presenta infatti la possibilità di valutare i servizi, i progetti o gli interventi prendendo in esame altri due criteri: la qualità delle relazioni (ovvero l’eventuale incremento del Capitale Sociale) e l’eticità (la condivisione etica a cui fa riferimento l’intervento).
Ripensare la qualità educativa nei servizi residenziali per minori
CORTI, MATILDE
2023/2024
Abstract
La questione dei minori assume un peso significativo nella rete dei servizi di welfare del nostro paese. I dati quantitativi dimostrano una crescita generale del fenomeno, ma anche qualitativamente è possibile verificare un cambiamento: il mutamento sostanziale dei bisogni, che mette a dura prova il sistema stesso. Anche i linguaggi propri del sistema di servizi alla persona sembrano modificarsi parallelamente agli aspetti sociologici: dal concetto dominante di “tutela” ci si muove sempre di più verso l’importante tema dell’emancipazione personale. Dentro questo scenario, le comunità educative rappresentano una risorsa spesso sottovalutata nel contesto degli interventi e servizi a favore dei minori. Possono infatti fornire uno strumento qualitativo e non semplicemente sostitutivo, in grado di consentire percorsi attenti alla risoluzione dei propri vissuti e allo sviluppo delle proprie risorse: orientati cioè ad una vera emancipazione. Nella prima parte di questa tesi si cerca dunque di mettere a fuoco il tema centrale nelle sue dimensioni generale e caratteristiche specifiche, cercando di evidenziare i dati che confermano i cambiamenti in atto. Nella seconda parte si approfondisce il tema della qualità degli interventi educativi dedicati ai minorenni secondo parametri non consueti e perciò non solo orientati a criteri di risultato (efficienza ed efficacia). Per fare questo, si cerca di fare propri concetti espressi da alcuni autori, tra cui P. Donati, che propongono di identificare la qualità attraverso la definizione di una molteplicità di criteri – di “risultato” e di “processo” – che possono aiutarci a definire Buone Prassi intese secondo il metodo relazionale (citato da P.P. Donati). Si prova quindi a mettere a fuoco il concetto di Capitale Sociale quale bene relazionale delle persone e dei gruppi sociali, per arrivare a definire ipotesi di percorsi orientati all’emancipazione dei minori accolti in comunità. Si definisce infine cosa siano e come possano essere messe a frutto quelle che si possono definire come “Buone Prassi”, sempre secondo il metodo relazionale. L’ultimo passaggio di questa seconda parte è dedicato alla presentazione di un sistema di progettazione e valutazione degli interventi personalizzati utilizzabili nelle comunità educative. Si tratta del Progetto Educativo Personalizzato, che assume una doppia funzione: progettuale e valutativa. Si cerca di dimostrare che il PEP sia uno strumento non separato dall’operatività che accompagna l’azione, ne condiziona gli sviluppi mentre osserva e riflette sugli esiti, le criticità, i successi raggiunti. In questo senso rappresenta una forma di valutazione che è ben collocata nell’azione. Tuttavia, il PEP, per come è stato usato fino ad oggi, rappresenta il limite di quei modelli qualitativi che pongono l’attenzione sui criteri di efficienza (delle risorse impiegate rispetto ai bisogni) e dell’efficacia (ovvero del raggiungimento degli obiettivi previsti). Si cerca pertanto di provare come il modello relazionale proposto da P. Donati possa rappresentare una vera e propria innovazione - quando sintetizzato attraverso uno schema ben strutturato. Il modello presenta infatti la possibilità di valutare i servizi, i progetti o gli interventi prendendo in esame altri due criteri: la qualità delle relazioni (ovvero l’eventuale incremento del Capitale Sociale) e l’eticità (la condivisione etica a cui fa riferimento l’intervento).File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.12608/74594