A partire dal 1986, anno dell’immissione in commercio del primo anticorpo monoclonale ad uso terapeutico, si è verificato un notevole incremento nel numero di farmaci appartenenti a questa classe approvati dall’EMA e dall’FDA. Grazie alla loro elevata specificità verso il target, infatti, gli anticorpi monoclonali si sono dimostrati efficaci per il trattamento di diverse patologie, soprattutto in ambito oncologico. Tuttavia, la loro natura proteica li rende soggetti ad instabilità sia chimica che fisica, la quale può riflettersi in una diminuzione della loro attività terapeutica. Infatti, per ottenere l’approvazione per l’immissione in commercio di un nuovo anticorpo monoclonale, è imprescindibile condurre approfonditi test di stabilità chimico-fisica. Tali studi, dettagliatamente delineati nelle linee guida ICH Q5C, sono fondamentali per garantire che il prodotto mantenga la sua efficacia e sicurezza nel tempo. Nonostante ciò, la stabilità degli anticorpi durante la manipolazione in farmacia ospedaliera necessita di maggiori studi, poiché durante il trasporto nei reparti o in altri ospedali e la diluizione dell’anticorpo formulato nelle rispettive sacche per infusione endovenosa, essi possono essere sottoposti a diversi fattori di stress, tra cui variazioni di temperatura, stress meccanici durante il trasporto ed esposizione alla luce solare e artificiale durante la preparazione delle sacche e da ultimo anche durante la somministrazione al paziente. Lo scopo di questa tesi, pertanto, è quello di approfondire l’impatto che può avere la luce sulla stabilità dell’anticorpo monoclonale Bevacizumab (Avastin®), impiegato in oncologia come inibitore del processo di angiogenesi tumorale. A tal proposito, in seguito a diluizione in soluzione fisiologica ed irradiazione con una dose di luce simile a quella che i preparati possono ricevere nella vita reale, sono state analizzate le modifiche della struttura primaria e della conformazione dell’anticorpo (struttura secondaria e terziaria), così come la presenza di aggregati, il mantenimento dell’attività biologica e il suo potenziale immunogenico. Utilizzando tecniche spettroscopiche, non sono emerse variazioni della struttura secondaria e terziaria di Bevacizumab in seguito ad esposizione alla luce, mentre, analizzando gli stessi campioni tramite spettrometria di massa (LC-MS/MS), sono state riscontrate modifiche chimiche della sequenza amminoacidica quali ossidazioni e deammidazioni, oltre alla formazione di aggregati tramite elettroforesi (SDS-PAGE). Inoltre, utilizzando il kit Promega VEGF Bioassay, è stato possibile rilevare una diminuzione della capacità di Bevacizumab irradiato di riconoscere il suo target (VEGF), mentre l’attività biologica, testata con un saggio di angiogenesi in vitro, non ha mostrato differenze significative rispetto a quella di Bevacizumab non irradiato. Infine, l’esposizione di cellule dendritiche immature derivate da monociti umani all’anticorpo irradiato non ha portato alla loro maturazione, indicando la probabile assenza di induzione di fenomeni immunogenici. In conclusione, sebbene i dati ottenuti da questo studio facciano supporre che le modifiche che l’anticorpo può subire durante il processo di manipolazione in farmacia ospedaliera siano di lieve entità, è opportuno adottare alcuni accorgimenti per limitare l’esposizione alla luce di Bevacizumab (Avastin®), in modo da evitare ripercussioni sull’attività terapeutica del farmaco e su possibili effetti collaterali.
Impatto dello stress indotto dalla luce in Bevacizumab (Avastin®) durante la manipolazione in farmacia ospedaliera: implicazioni sulla sua attività biologica
SOTTORIVA, CHIARA
2023/2024
Abstract
A partire dal 1986, anno dell’immissione in commercio del primo anticorpo monoclonale ad uso terapeutico, si è verificato un notevole incremento nel numero di farmaci appartenenti a questa classe approvati dall’EMA e dall’FDA. Grazie alla loro elevata specificità verso il target, infatti, gli anticorpi monoclonali si sono dimostrati efficaci per il trattamento di diverse patologie, soprattutto in ambito oncologico. Tuttavia, la loro natura proteica li rende soggetti ad instabilità sia chimica che fisica, la quale può riflettersi in una diminuzione della loro attività terapeutica. Infatti, per ottenere l’approvazione per l’immissione in commercio di un nuovo anticorpo monoclonale, è imprescindibile condurre approfonditi test di stabilità chimico-fisica. Tali studi, dettagliatamente delineati nelle linee guida ICH Q5C, sono fondamentali per garantire che il prodotto mantenga la sua efficacia e sicurezza nel tempo. Nonostante ciò, la stabilità degli anticorpi durante la manipolazione in farmacia ospedaliera necessita di maggiori studi, poiché durante il trasporto nei reparti o in altri ospedali e la diluizione dell’anticorpo formulato nelle rispettive sacche per infusione endovenosa, essi possono essere sottoposti a diversi fattori di stress, tra cui variazioni di temperatura, stress meccanici durante il trasporto ed esposizione alla luce solare e artificiale durante la preparazione delle sacche e da ultimo anche durante la somministrazione al paziente. Lo scopo di questa tesi, pertanto, è quello di approfondire l’impatto che può avere la luce sulla stabilità dell’anticorpo monoclonale Bevacizumab (Avastin®), impiegato in oncologia come inibitore del processo di angiogenesi tumorale. A tal proposito, in seguito a diluizione in soluzione fisiologica ed irradiazione con una dose di luce simile a quella che i preparati possono ricevere nella vita reale, sono state analizzate le modifiche della struttura primaria e della conformazione dell’anticorpo (struttura secondaria e terziaria), così come la presenza di aggregati, il mantenimento dell’attività biologica e il suo potenziale immunogenico. Utilizzando tecniche spettroscopiche, non sono emerse variazioni della struttura secondaria e terziaria di Bevacizumab in seguito ad esposizione alla luce, mentre, analizzando gli stessi campioni tramite spettrometria di massa (LC-MS/MS), sono state riscontrate modifiche chimiche della sequenza amminoacidica quali ossidazioni e deammidazioni, oltre alla formazione di aggregati tramite elettroforesi (SDS-PAGE). Inoltre, utilizzando il kit Promega VEGF Bioassay, è stato possibile rilevare una diminuzione della capacità di Bevacizumab irradiato di riconoscere il suo target (VEGF), mentre l’attività biologica, testata con un saggio di angiogenesi in vitro, non ha mostrato differenze significative rispetto a quella di Bevacizumab non irradiato. Infine, l’esposizione di cellule dendritiche immature derivate da monociti umani all’anticorpo irradiato non ha portato alla loro maturazione, indicando la probabile assenza di induzione di fenomeni immunogenici. In conclusione, sebbene i dati ottenuti da questo studio facciano supporre che le modifiche che l’anticorpo può subire durante il processo di manipolazione in farmacia ospedaliera siano di lieve entità, è opportuno adottare alcuni accorgimenti per limitare l’esposizione alla luce di Bevacizumab (Avastin®), in modo da evitare ripercussioni sull’attività terapeutica del farmaco e su possibili effetti collaterali.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.12608/75000