Il presente lavoro ha lo scopo di andare a studiare la condizione della personalità all’interno delle reti di potere legate alla parola e al discorso, nel milieu che, a cavallo tra Riforma e Controriforma, emerge dalla convergenza delle istanze legate alla conversatione civile e, più in generale, ai trattati cortigiani. L’interesse è quello di valutare la conformazione concettuale con cui si presenta la posizione dell’uomo-civile e che sarebbe stata investita dal dispositivo hobbesiano: ci si pone, innanzitutto, di verificare lo stato della separazione tra foro interno e foro esterno, privato pubblico, interiorità ed esteriorità dell’anima, in una linea che arriva così a toccare la formazione emozionale di ciascuno secondo le griglie socializzati della civiltà, della buona maniera e del comportamento pubblicamente accettato. I trattati di argomento cortigiano vengono dunque assunti come carotaggi di una profondità storico-concettuale che nel suo apogeo trova, parallelamente, l’inizio della propria mutazione e riarrangiamento. Le figure di uomini che verranno componendosi - tutti laterali a loro modo, poiché né principi, né gran condottieri, ma che pure possono ridare la misura del potere che ha agito su di loro e attraverso loro - sono da intendere come calchi rispetto alla loro ostensione pubblica di sé; non semplicemente dei personaggi stereotipici da far muovere in una rappresentazione finzionale, ma delle personalità aggregate, che riescono, con la propria fisionomia concettuale, a restituire la densità dei rapporti che venivano vissuti e maneggiati. Con questo in mente, si è proceduto alla costruzione di un circuito in cui le forze produttive dei concetti pratici potessero fluire in una immagine sequenziale, tramite una partizione in due poli concettuali, a loro volta suddivisi in due antipodi, ed un ultimo punto di arresto. Nel primo polo, verrà analizzata l’alternativa tra solitudine e conversazione, in cui, a partire dai testi di Stefano Guazzo e di Baldassar Castiglione, si potrà riportare in evidenza il discorso come primissimo medium relazionale, che non solo permette di evitare la malattia melancolica, ma che, inoltre, permette la simultanea acquisizione dell’habitus alla e della virtù. Questo primo polo rappresenta la modellizzazione ideale del comportamento cortigiano. Nel secondo, guidati dal testo di Torquato Accetto e da quello di Francesco Guicciardini, ci si concentrerà sulla coppia dissimulazione-verità, nonché sul concetto di discrezione e particulare, attraverso la cui articolazione emerge la condizionali semovente del dir-vero, in un gioco di luci ed ombre che pure non viene demonizzato dall’ipocrisia, quanto piuttosto è inteso come costitutivo della maniera di qualcuno di farsi vedere, di mostrare accortamente il proprio onore e valore. Infine, nel punto di arresto ci si rivolgerà a Montaigne, di cui viene presa a prestito la voce e la complessione corporea al fine di cercare, per negativo, di mostrare la virata in direzione opposta di una personalità integrale, indivisa tra sé esteriore e sé interiore ed emozionale. Il vivere sé attraverso la compenetrazione tra interno ed esterno, pubblico e privato, esclude, se la personalità aderisce completamente alla condotta di sé, la sua rarefazione nelle “belle maniere”, che pure sono l’acquisizione e la prova massime dell’essere umano in quanto sociale.
OGMIO E LA LUMACA: POTERE DELLA PAROLA E CREAZIONE DELLA PERSONALITÀ NELLA CONVERSATIONE CIVILE
VANNI, EDOARDO
2024/2025
Abstract
Il presente lavoro ha lo scopo di andare a studiare la condizione della personalità all’interno delle reti di potere legate alla parola e al discorso, nel milieu che, a cavallo tra Riforma e Controriforma, emerge dalla convergenza delle istanze legate alla conversatione civile e, più in generale, ai trattati cortigiani. L’interesse è quello di valutare la conformazione concettuale con cui si presenta la posizione dell’uomo-civile e che sarebbe stata investita dal dispositivo hobbesiano: ci si pone, innanzitutto, di verificare lo stato della separazione tra foro interno e foro esterno, privato pubblico, interiorità ed esteriorità dell’anima, in una linea che arriva così a toccare la formazione emozionale di ciascuno secondo le griglie socializzati della civiltà, della buona maniera e del comportamento pubblicamente accettato. I trattati di argomento cortigiano vengono dunque assunti come carotaggi di una profondità storico-concettuale che nel suo apogeo trova, parallelamente, l’inizio della propria mutazione e riarrangiamento. Le figure di uomini che verranno componendosi - tutti laterali a loro modo, poiché né principi, né gran condottieri, ma che pure possono ridare la misura del potere che ha agito su di loro e attraverso loro - sono da intendere come calchi rispetto alla loro ostensione pubblica di sé; non semplicemente dei personaggi stereotipici da far muovere in una rappresentazione finzionale, ma delle personalità aggregate, che riescono, con la propria fisionomia concettuale, a restituire la densità dei rapporti che venivano vissuti e maneggiati. Con questo in mente, si è proceduto alla costruzione di un circuito in cui le forze produttive dei concetti pratici potessero fluire in una immagine sequenziale, tramite una partizione in due poli concettuali, a loro volta suddivisi in due antipodi, ed un ultimo punto di arresto. Nel primo polo, verrà analizzata l’alternativa tra solitudine e conversazione, in cui, a partire dai testi di Stefano Guazzo e di Baldassar Castiglione, si potrà riportare in evidenza il discorso come primissimo medium relazionale, che non solo permette di evitare la malattia melancolica, ma che, inoltre, permette la simultanea acquisizione dell’habitus alla e della virtù. Questo primo polo rappresenta la modellizzazione ideale del comportamento cortigiano. Nel secondo, guidati dal testo di Torquato Accetto e da quello di Francesco Guicciardini, ci si concentrerà sulla coppia dissimulazione-verità, nonché sul concetto di discrezione e particulare, attraverso la cui articolazione emerge la condizionali semovente del dir-vero, in un gioco di luci ed ombre che pure non viene demonizzato dall’ipocrisia, quanto piuttosto è inteso come costitutivo della maniera di qualcuno di farsi vedere, di mostrare accortamente il proprio onore e valore. Infine, nel punto di arresto ci si rivolgerà a Montaigne, di cui viene presa a prestito la voce e la complessione corporea al fine di cercare, per negativo, di mostrare la virata in direzione opposta di una personalità integrale, indivisa tra sé esteriore e sé interiore ed emozionale. Il vivere sé attraverso la compenetrazione tra interno ed esterno, pubblico e privato, esclude, se la personalità aderisce completamente alla condotta di sé, la sua rarefazione nelle “belle maniere”, che pure sono l’acquisizione e la prova massime dell’essere umano in quanto sociale.| File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.12608/90594