Il seguente elaborato nasce dalla curiosità per l'ambito della marginalità sociale, maturata durante la mia esperienza di tirocinio presso la Cooperativa sociale "Il Samaritano" di Verona. In particolare, ho scelto di prendere in analisi la realtà delle carceri italiane; partendo dai principi di rieducazione e risocializzazione contenuti nella Costituzione e nell'Ordinamento Penitenziario, mi sono chiesta quanto effettivamente questi vengano applicati negli istituti penitenziari. Le testimonianze di ospiti e operatori raccolte durante il periodo di tirocinio, in aggiunta a letture di testi e ricerche condotte personalmente, mi hanno permesso di evidenziare le diverse contraddizioni che caratterizzano oggi gli istituti di pena. È in questo ambiente complesso e altrettanto delicato che si inserisce la figura professionale dell'educatore penitenziario; il suo ruolo è fondamentale per attuare un cambiamento sostanziale e concretizzare quei principi virtuosi che finora sono rimasti degli astratti buoni propositi. Il compito educativo, non privo di sfide, consiste, in questo ambito, non solo nel "tirare fuori" le potenzialità dell'individuo deviante, per renderlo autonomo e consapevole delle conseguenze che derivano dal proprio comportamento, ma anche nel "mettere dentro" agli individui della società la capacità di accogliere l'altro, andando oltre il pregiudizio e la paura del diverso. Una possibile soluzione consiste nel "tirare fuori" dalle carceri gli individui condannati per reati minori, dunque non pericolosi per la collettività, e "metterli dentro" alla società, ricorrendo alle misure alternative alla detenzione e ad interventi educativi che sappiano favorire un atteggiamento consapevole e collaborativo a discapito di comportamenti illeciti.
Educazione e carcere: "tirare fuori" e "mettere dentro"
CASTELLANI, ANNALIA
2021/2022
Abstract
Il seguente elaborato nasce dalla curiosità per l'ambito della marginalità sociale, maturata durante la mia esperienza di tirocinio presso la Cooperativa sociale "Il Samaritano" di Verona. In particolare, ho scelto di prendere in analisi la realtà delle carceri italiane; partendo dai principi di rieducazione e risocializzazione contenuti nella Costituzione e nell'Ordinamento Penitenziario, mi sono chiesta quanto effettivamente questi vengano applicati negli istituti penitenziari. Le testimonianze di ospiti e operatori raccolte durante il periodo di tirocinio, in aggiunta a letture di testi e ricerche condotte personalmente, mi hanno permesso di evidenziare le diverse contraddizioni che caratterizzano oggi gli istituti di pena. È in questo ambiente complesso e altrettanto delicato che si inserisce la figura professionale dell'educatore penitenziario; il suo ruolo è fondamentale per attuare un cambiamento sostanziale e concretizzare quei principi virtuosi che finora sono rimasti degli astratti buoni propositi. Il compito educativo, non privo di sfide, consiste, in questo ambito, non solo nel "tirare fuori" le potenzialità dell'individuo deviante, per renderlo autonomo e consapevole delle conseguenze che derivano dal proprio comportamento, ma anche nel "mettere dentro" agli individui della società la capacità di accogliere l'altro, andando oltre il pregiudizio e la paura del diverso. Una possibile soluzione consiste nel "tirare fuori" dalle carceri gli individui condannati per reati minori, dunque non pericolosi per la collettività, e "metterli dentro" alla società, ricorrendo alle misure alternative alla detenzione e ad interventi educativi che sappiano favorire un atteggiamento consapevole e collaborativo a discapito di comportamenti illeciti.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.12608/41457